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giovedì 23 ottobre 2008

I due volti di Madame le professeur

Marguerite Aron
La storia dell’educazione delle donne nei secoli è sempre stata soggetta a discriminazioni e barriere, sconcerta però constatare come anche in tempi recenti - mi riferisco alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento - nella pur progressista e illuminata Francia ancora resistenze e pregiudizi fossero ben vivi e tenaci.
La ben conosciuta e rinomata scuola di Sèvres che avrebbe diplomato quelle giovani donne dette poi sévriennes, cioè la prima generazione di insegnanti nella scuola secondaria francese, era stata aperta solo nel 1881. In Senato, durante la discussione sull’opportunità di aprire una scuola Normale Superiore per le ragazze, un senatore conservatore ebbe a dire dinnanzi a un’idea così innovativa: «Un seminario laico per ragazze che vorrebbero essere delle signore professoresse, non sono abituato a questo tipo di mostri!».
Le giovani invece si sentivano pioniere del futuro, educate per creare l’anima della nuova donna, oltre che ad afferrare la grandezza e la bellezza del ruolo dell’educatrice. La lotta di queste coraggiose giovani per farsi accettare dalla società fu di non poco conto, pregiudizi e tabù gravavano ancora sulla donna che si sarebbe dedicata all’insegnamento superiore. La novità procurò notevoli commenti e disagi a queste «donne nuove» della Terza Repubblica: una barriera fu frantumata da queste giovani che passarono dal livello generico di istitutrici a quello socialmente riconosciuto di insegnanti a livello superiore. Inoltre, gli schemi e i parametri maschili non dovevano diventare impositivi e determinanti si apriva allora un tracciato inedito, tutto femminile.
La targa che ricorda tutte le Sévriennes morte per la Francia, non porta un nome, quello di Marguerite Aron che morì vittima della furia distruttrice del nazismo. Nata in una famiglia ebraica a Parigi nel 1873 nel ix arrondissement, nei pressi della stazione Saint-Lazare, Marguerite al compiere dei sette anni ricevette in dono dal nonno Aronhauser il libro delle preghiere degli ebrei d’Alsazia. Margherite, culturalmente, venne allevata sulle «ginocchia dell’università» e assorbì idee scettiche e indifferenti verso il cattolicesimo.
Un dissesto economico familiare costrinse la giovane ragazza, che si sentiva inclinata agli studi universitari, a virare invece nel 1893 verso quell’istituto di studi della Scuola Normale di Sèvres, detto Couvent laïque. La sua formazione fu quindi quella dell’insegnante, professione che intraprese una volta diplomata, dapprima in provincia, poi a Versailles e infine a Parigi. Il metodo e la personalità «del mostro» suscitarono notevoli problemi, tanto da venire invitata a non allargare troppo le idee delle allieve e a non prestare loro libri! Un problema però angustia madame le professeur ed è quello della sua vocazione nella vita: «Come vorrei avere una vocazione chiara, imperiosa, senza repliche! Eppure non ce l’ho. Appartengo a quel tipo di persone equilibrate e mediocri che riescono un poco dappertutto, senza riuscire da nessuna parte, che esitano, ponderano, che si servono di una parte della loro attività nel domandarsi che cosa vogliono fare (...) Quando ero piccola, era già il mio cruccio: sognavo d’avere una vocazione». Quando ancora frequentava la scuola di Sévres, Marguerite nelle sue sterminate letture si era imbattuta e aveva letto Pascal, mentre l’Imitazione di Cristo, per l’austero ascetismo non entrò nel suo spirito. Fu invece toccata nel profondo da un altro incontro con una persona di spicco nel suo tempo: il domenicano Héribert che aveva fondato il Circolo Veritas, nei cui interessi culturali religiosi poneva un accento ben preciso sul ruolo del popolo di Israele nella storia della salvezza. Si ignora come Marguerite ne incontrò il fondatore, però ne seguiva le attività e cominciò a percepire dentro di sé un richiamo interiore che promanava dalla sua stessa stirpe ebraica. Iniziò quindi il cammino della conversione al cristianesimo su cui ella mantenne sempre un silenzio denso di discrezione; un indizio può tuttavia gettare luce su quanto le accadde se ci si riferisce a quanto scrisse su Marie-Alphonse Ratisbonne: «Egli, d’un sol colpo, ricevette tutto, fede, luce; venne folgorato e illuminato, la sua partenza è l’arrivo degli altri». Sempre in lei rimarranno presenti «due tempi, due volti», non in conflitto ma in complementare armonia, ebraismo e cristianesimo.
Marguerite fu battezzata nel 1914 e si legò alla spiritualità e all’attività domenicana: collaborazioni a riviste quali La Vie intellectuelle e La Vie spirituelle, un vivo gusto per la ricerca e la scrittura di tanti libri di spiritualità, brillanti conferenze e l’animazione di circoli aperti ai liceali.
Fondamentale fu il suo avvicinamento all’abbazia di Solesmes dove giunse per la prima volta l’8 settembre 1930, frequentandola durante la Settimana Santa e per periodi personali di ritiro e riflessione, insieme con un fedele gruppo di amici.
La sua maturazione religiosa fu progressiva e attenta: «Giunge il momento in cui le cerimonie che incantavano annoiano, che all’ufficiatura solenne si preferisca l’orazione silenziosa. Ma se si è veramente figli della Chiesa universale si capisce poi che tutto questo non fa che un grande tutto la cui cifra è la lode, l’amore, l’obbedienza».
Un tratto della sua spiritualità fu anche il legame con Maria la Madre di Gesù; aveva scritto commentando le xilografie della Via Crucis di Raymond Dubois: «In Lui, tutti i morti della stirpe sono presenti, quelli dei secoli passati, quelli dei secoli futuri; e dopo il sacrificio di Abele, prima vittima del genere umano, mai nessun prete ha avuto o ha offerto una simile ostia (...) È così che Maria diviene la Madre di tutte le grazie, la misericordiosa dispensatrice del perdono, la tesoriera del sangue di Gesù».
Marguerite conobbe anche e strinse grande amicizia con quella che sarebbe divenuta la beata Ursula Ledochowska, la fondatrice delle Orsoline, la cui storia si deve alla sua penna.
Malgrado la persecuzione nazista che infuriava in Europa, Marguerite non volle lasciare Solesmes e nascondersi. Non solo ma osò ospitare nella sua casa un’ebrea ricercata, Elisabeth Cahen d’Anvers. Le due anziane, evidentemente denunciate, il 26 gennaio 1944 mentre uscivano dalla celebrazione della messa furono arrestate e deportate. Il 13 gennaio il convoglio giunse ad Auschwitz, quasi certamente Marguerite non superò la selezione del dottor Mengele che eliminava immediatamente i «pezzi» che contavano più di cinquant’anni, così ella condivise con il suo popolo l’odio contro il popolo di Israele e i suoi due volti trovarono, nel martirio silenzioso e sconosciuto ai più, quella pace e quell’unità cui tutti aneliamo.

di Cristiana Dobner in Osservatore Romano, 22 ottobre 2008

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