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venerdì 26 marzo 2010

Passione di nostro Signore Ges Cristo secondo Luca

Come di consueto, anche quest’anno durante la domenica delle Palme, si legge il racconto della passione e morte di Gesù. A differenza però degli altri anni e del modo consueto di commentare le letture delle domeniche dell’anno liturgico, quest’anno preferisco lasciare ampio spazio al testo. Anche perché esso non ha bisogno di nessuna aggiunta e – dopo la sua lettura per intero (che consiglio vivamente a tutti) – non lascia spazio che ad un denso silenzio. Mi permetto allora semplicemente di mettere – nel testo – i passaggi che più di tutti a me, oggi, paiono significativi, quelli che più di tutti fanno vibrare le mie corde interiori, così, proprio per far posto – qualche volta – più alla pancia che alla testa.

Dal libro del profeta Isaìa (Is 50,4-7)
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési (Fil 2,6-11)
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca (Lc 22,14-23,56)
Quando venne l’ora, [Gesù] prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio». Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».

Anche se forse non tutti saranno d’accordo… leggendo questo testo mi è capitato più di una volta di immaginare la medesima situazione di Gesù e dei discepoli all’ultima cena, riadattandola con i personaggi della mia vita, con le persone che amo o, addirittura, come se fossi io a pronunciare le parole di Gesù.
Forse non tutti saranno d’accordo, perché – insomma – non si fa… Chi può avere l’ardire di mettersi nei panni di Gesù e pensare di riuscire a vestirli? Chi può mettere al posto di Gesù qualcuno che ama, senza scadere nell’idolatria? Ecc…
Eppure, se è vero che la conoscenza di Lui, l’incontro con Lui e l’amore per Lui non può avvenire che in maniera mediata (dalla storia, dal volto degli altri, dalla struttura antropologica dell’amare, del pensare, del decidere, ecc…), allora forse il tentativo – magari un po’ infantile – di immedesimazione, fa comprendere molto bene le dinamiche affettive in gioco in quei terribili momenti: la consapevolezza dell’imminente morte, la paura di morire, il dramma del lasciare chi si ama… e dentro lì, la scelta di morire donandosi…
E dal punto di vista dei discepoli: l’incomprensione, la paura, l’annientamento del futuro, l’orrore della solitudine…
E la domanda: Perché se metto qualcuno che amo al posto di Gesù o se mi metto io stessa, lasciando i miei amati nel ruolo dei discepoli, mi si agghiacciano di angoscia le interiora e mi sale il magone del terrore in gola, mentre se non faccio questa associazione, mi sembra solo il racconto scontato – perché mille volte già ascoltato – del superuomo Gesù, molto più ectoplasma cosmico, che uomo da amare come gli altri!?!??



«Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo. E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.

Luca colloca a questo punto la discussione su chi fosse da considerarsi più grande… Agghiacciante che la collochi proprio qui… Segno forte della solitudine di Gesù, non ancora a livello concreto (ha ancora intorno i suoi), ma indubbiamente esistenziale: solo Lui infatti sta capendo bene ciò che accade. E solo Lui, dentro agli eventi, mantiene quella lucidità che ridà ai fatti il significato autentico, continuamente falsato da tutti gli altri attori in scena (qui e fino alla fine) e rivela un’incommensurabile capacità leggere in trasparenza le dinamiche umane.
«Voi però non fate così»...


Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».

Anche Pietro fa una lettura falsata della realtà… addirittura una lettura falsata di se stesso… che Gesù, senza giudizio né rimprovero, semplicemente smonta, per riportarlo alla carne e al sangue… molto più veri di tanti nostri propositi… Perché è molto più vera la paura, che la baldanza; la trepidazione, che l’ostentata sicurezza… siamo molto più un grumo di sangue impaurito, che dei valorosi combattenti indomiti.
Ma la cosa interessante è che mentre noi passiamo una vita a cercare di nascondere a noi stessi e agli altri questa verità, Gesù la vede da sempre e non se ne fa proprio problema. Anzi… La guarda con trasparenza e naturalezza, benevolenza e fiducia: quel grumo di sangue impaurito è il suo grumo di sangue impaurito! E sarà sapere questo (questo suo sguardo, questo suo amore) che renderà quel grumo di sangue impaurito – che pure resterà un grumo di sangue impaurito – così libero da saper davvero a sua volta amare fino a dare la vita!


Poi disse loro: «Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli disse: «Basta!». Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».

Cade in ginocchio, il suo sudore diventa come gocce di sangue che cadono a terra… c’è una lotta… è la fatica, tutta umana di Gesù di tirar dietro al suo cuore, alla sua mente, alla sua “determinata determinazione” («non sia fatta la mia, ma la tua volontà») anche la sua carne, il desiderio di vita che si sprigiona da ogni sua fibra, la paura di morire che corre lungo le sue midolla, il terrore del nulla che gela le sue viscere…
È così che Dio agisce nella storia! Nella lotta, tutta sudore e sangue, di una libertà che si decide per Lui, per l’amore, per la vita degli altri, per il primato dell’uomo! Il resto è coreografia folkloristica (spesso di cattivo gusto)…


Mentre ancora egli parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate! Basta così!». E, toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Come se fossi un ladro siete venuti con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre».

«Come se fossi un ladro…»: la grande menzogna… Mentre tutti si costruiscono la verità (il “come se”), Gesù riporta sempre all’autenticità della realtà (al “come è”)...
L’uomo infatti ha bisogno di mentire, di falsare, di mascherarsi… altrimenti non rimarrebbe di lui che un grumo di sangue impaurito… che nessuno degnerebbe di uno sguardo, che nessuno terrebbe in alcuna considerazione… a cui nessuno riconoscerebbe una qualche autorità, o a cui darebbe un qualche potere… che nessuno dunque ammirerebbe, stimerebbe e amerebbe…
La trasparenza dello sguardo di Gesù si fonda invece sull’incontrovertibile onorabilità del grumo di sangue. E della sua verità. Questi è l’uomo. Questi è la creatura di Dio. Questi è chi Lui ama.


Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

Pietro è l’emblema di questo ritorno alla realtà… Per lui basta uno sguardo… Dopo la grande menzogna, dopo l’invenzione della verità, dopo la maschera, gli occhi dell’amico lo riportano a chi lui è veramente… un grumo di sangue impaurito e mentitore per paura!
Ma la scoperta di Pietro è che – al contrario di quanto gli suggeriva la sua paura, per cui mostrarsi nella sua verità lo avrebbe condotto alla morte, alla non accettazione, al disprezzo, alla solitudine – lo sguardo di Gesù che lo vede per quello che è veramente, è sempre quello di chi lo ama, di chi da sempre lo vedeva come un tenero grumo di sangue, di chi lo tiene perché è suo!


E intanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: «Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?». E molte altre cose dicevano contro di lui, insultandolo. Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro Sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi». Rispose loro: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio». Allora tutti dissero: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli rispose loro: «Voi stessi dite che io lo sono». E quelli dissero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». Tutta l’assemblea si alzò; lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.
Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.

Pilato sa che Gesù è “una patata bollente”… e se ne vuole liberare. Ci prova con Erode… ricordando che Gesù è Galileo e che dunque Erode ne aveva l’autorità… Ma Erode glielo rimanda: non ha interesse per lui, quando si accorge che non ha niente del giullare di corte che coi suoi trucchetti fa divertire il pubblico… Pilato allora prova a tenere duro con i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo. Ma poi, la ragion di stato (quindi non una ragione vera, ma un’altra invenzione della verità, quella adatta a non far scoppiare una rivolta) prevale. E Gesù – nel teatro delle menzogne – diventa colpevole: condannato.

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».

Strepitoso in tutto questo orchestrare la menzogna, il commento lucidissimo di Gesù: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli»… La verità infatti, anche se non riconosciuta da alcuno, se non da Gesù solo, è che quegli uomini e quelle donne – e non lui – sono nell’errore. Non solo nell’errore di valutazione sulla colpevolezza o l’innocenza di Gesù, ma nell’errore della postura esistenziale.

Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori. Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.

Le tre cose che Luca fa dire a Gesù in croce sono insuperabili: lo sguardo trasparente sui suoi assassini («Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno»), a cui ridona la caratura umana di cui loro si stanno auto-privando; lo sguardo (la cura) al prossimo sofferente anche nel momento in cui lui stesso è il prossimo sofferente («Oggi con me sarai nel paradiso»), cui continua a guardare come si guarda ad un uomo, anche quando gli altri, la vita, lui stesso, lo hanno disumanizzato; e infine lo sguardo al Padre («Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»), guardato fino in fondo come Padre.
Fra tutti, solo Gesù vede la verità, solo i suoi occhi riconoscono i veri volti di ciascuno…


Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo. Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del Sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatèa, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto.

E infine, quando ormai Gesù non può guardare più e non può più dirci la verità facendoci guardare la realtà coi suoi occhi, ecco che rispuntano i suoi e soprattutto le sue… le quali – piuttosto che nulla – vogliono almeno avere tra le mani il suo corpo (morto), in un atteggiamento tutto femminile che è quello della cura, della custodia, dell’“in-grembamento”…

Il mio augurio, all’inizio di questa settimana santa, in attesa della domenica di risurrezione, è di vivere un po’ questo “in-grembamento”.

1 commento:

Denise Cecilia ha detto...

Oh, mi pare proprio che sostituirsi, e sostituire le persone amate (nostre) alternativamente a Yehoshua e ai discepoli non sia un'opzione facoltativa, ma un passaggio (termine non casuale?) necessario.
E le tue parole, più che intimidire o inibire l'immaginazione, la conquistano.

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