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sabato 2 novembre 2013

Per una giustizia vera


Il dibattito sulla telefonata della ministra Cancellieri a favore della sola Giulia Ligresti – e non degli altri componenti della famiglia arrestati! – in carcere preventivo e a rischio di vita, la dice lunga sulla vera natura dell’essere o non essere cristiano autentico. O se volete è illuminante su che cosa consista concretamente per il cristiano “avere fede”. Qui naturalmente mi riferisco al “dibattito in sé” e non mi riferisco ai fatti concreti di come si siano svolte le cose. Che riguardano la magistratura e/o la correttezza della sua azione dal punto di vista istituzionale.

All’interno del dibattito emerge preponderante ciò che ciascuno intende per “giustizia”! Cosa è giusto? Salvare una vita anche a costo di violare le norme non scritte di una morale politica o per non rischiare una possibile interpretazione ambigua mettere a rischio la vita delle persone?
È più giusto il “tutti o nessuno” o “almeno qualcuno”? E tra questi “qualcuno”, vanno esclusi sempre e comunque gli “amici”? Soprattutto se “ricchi e potenti”? Soprattutto e comunque sia, se amici di un politico?
Qual è la differenza tra la telefonata di Berlusconi e quella di Cancellieri?
L’accettare l’una (Cancellieri) costringe ad accettare l’altra (Berlusconi)? (così Pdl e alleati). Il condannare l’una (Berlusconi) costringe a condannare l’altra (Cancellieri)? (così parte del PD, M5S, Sel). Ma non è compito della ragione umana (e si spera anche politica) saper distinguere i piani e i fatti?

A mio avviso appare evidente il diverso concetto di “giustizia” che emerge dal Vangelo e mi porta a non condividere minimamente entrambe le posizioni sopra esposte. Sia quelle del Pdl sia quelle della “sinistra”. E semmai a condividere, al di là delle sue vere intenzioni, l’azione “umanitaria” di Cancellieri. Non l’unica peraltro stando a quanto da lei dichiarato.

Perché? Perché il mio concetto di giustizia è altro rispetto al loro. Provo a spiegarmi.

Normalmente dividiamo il mondo tra credenti e non credenti, o anche tra cristiani e “laici” (nel senso laicista di “non credente”). In realtà nel Vangelo la vera discriminante non si pone mai a questo livello. La parabola del fariseo e del pubblicano, mostra con tutta evidenza che la differenza non si trova né al livello della religiosità, né a livello – udite, udite – del concreto comportamento etico della persona! Il pubblicano (esattore) è agli antipodi etici, morali, religiosi, politici, esistenziali non solo del fariseo, ma di ogni nostro riferimento di “giustizia”! Eppure è lui il salvato! Il finale della parabola ci dice qualcosa che sconvolge tutto il nostro concetto di “giusto” e di giustizia e quindi di giustificazione! Ma allora o Dio è ingiusto o è ingiusta la nostra giustizia!

Dove sta il problema? Il problema si capisce meglio forse con la figura di Barabba.
Mentre il “laico” vorrebbe la liberazione del giusto Gesù e la condanna del brigante Barabba (così il politico Pilato!), il cristiano pur non gioendo, anzi esecrando la detenzione e esecuzione di Gesù (voluta dai religiosi), non può non compiacersi e gioire della liberazione del brigante Barabba!

Qui sta la vera discriminante tra uomo e uomo. Si può discutere quanto si vuole con un credente o con un “laico” ma prima o poi bisogna vedere se abbiamo lo stesso concetto di giustizia! Il cristiano fa sua quella del Padre, che pur di vedere tutti i suoi figli liberi (anche se ricco, esattore, potente, brigante…) è disposto a subire e patire sulla sua carne la morte dell’innocente. Perché l’innocente è già un uomo libero e niente e nessuno potrà imprigionarlo, neanche la morte!

Cristiano non è colui che crede che Gesù è Figlio di Dio, non basta e in ogni caso non lo qualifica ancora come cristiano (anche i demoni lo sanno). Né può bastare la sua irreprensibilità etica (ammesso che esista un uomo del genere) o dogmatico-dottrinale. Il cristiano diventa tale se crede, vive e accoglie quella giustizia lì! Scandalosa per un pio ebreo, follia per un razionale greco farà capire san Paolo.
Ciò che ci divide non è che io sono credente e tu ateo, io cristiano e tu musulmano, io cattolico e tu protestante, io moralmente irreprensibile e tu no… o viceversa! Ciò che ci divide o ci unisce è il concetto di giustizia che abbiamo e che cerchiamo di attuare nel mondo!

Tornando alla telefonata di Cancellieri, tutto il problema verte sul quei “criminali” della famiglia Ligresti, per di più ricchi, potenti, corrotti, e chi più ne ha più ne aggiunga… che proprio per questo secondo il comune senso di giustizia, non avevano diritto ad essere aiutati, nonostante tutti riconoscano i limiti dell’ordinamento giudiziario e carcerario italiano. Poco importa se la vita di qualcuno che non fosse povero, indifeso, impotente e forse innocente, fosse in pericolo! Prima non viene colui che mi capita di poter soccorrere, prima viene l’idea astratta di soccorrere tutti o nessuno!

Di questo egalitarismo, in fondo elitario anche se pauperistico, ne stiamo raccogliendo i frutti avvelenati in una giustizia giustizialista che non sa farsi carico dei propri limiti anche quando questi, piacciano o non piacciano, riguardano coloro che riteniamo nostri aguzzini! Ma così facendo non siamo diversi dai Ligresti che condanniamo.

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