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domenica 2 marzo 2008

Godere la pace con riconoscente eucaristia

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». (Gv 9,1-41)


· Vorrei cercare di leggere il Vangelo di oggi in una prospettiva capovolta: Non tanto “leggere” quanto piuttosto cercare di “farci leggere”. Questo per far emergere quello che il testo dice e non ciò che la nostra precomprensione teologica e/o dogmatica e/o “spirituale” vuole fargli dire: perché solo la verità della Parola è salvifica.
Penso che “diventare bambini” per entrare nel “Regno del Padre” significhi anche questo: bambini nel cuore e nella testa, bambini che si reputano “ignoranti”, bisognosi di apprendere; “ciechi”, bisognosi di guida. Tornare bambini vuol dire qui anche saper mettere tra parentesi le nostre conoscenze acquisite negli anni di studio e di esperienza, provare a fare in qualche modo “tabula rasa”, per quanto possibile, per lasciarci istruire solo dal Vangelo di oggi, solo dalla prospettiva di Giovanni.
Quindi se anche noi fossimo imbevuti di verità foss’anche “angelica”, proviamo ora a lasciarci scioccare, sbigottire, da quella di Giovanni che, meno interessata a problematiche puntuali (a cui spesso le lettere di Paolo fanno riferimento) dilata lo sguardo su orizzonti nuovi della realtà umana. Neanche vogliamo qui preoccuparci ora di come “armonizzare” le varie prospettive teologiche, vogliamo soltanto ascoltare e lasciarci cambiare la mentalità da Giovanni e oggi questo ci basta. E questo è un buon metodo anche nel dialogo interpersonale.

· Il Vangelo di oggi si riferisce a un episodio concreto della vita di Gesù ma lo ri-costruisce in modo tale da fare emergere il significato profondo di ciò che il Signore Gesù Cristo compie, sta compiendo e continuamente compie, nella storia del vivere quotidiano della comunità cristiana. Ecco allora che tutto l’episodio è come ri-scritto con l’intento di mostrare il senso autentico della vita nuova a cui il cristiano è chiamato attraverso l’appartenenza alla vita di Cristo che inizia col battesimo.
Numerosi “fatti” nell’episodio in esame lo richiamano, e tutti andrebbero colti, nella loro infinita ricchezza e interconnessione tra di loro, qui ne ricordiamo solo qualcuno:
Il fango: simbolo del limite e del “peccato”, acceca il cieco rendendolo se possibile ancor più cieco; Il fango e la saliva (che come il soffio, spirito, viene dall’intimo di Cristo, e simboleggia la sua vita “interiore”): che rimanda all’atto creativo di Dio in Genesi e porta alla identificazione del cieco-battezzato col Cristo stesso. Infatti il Signore “distende” la propria “sostanza” (saliva infangata, simbolo dell’Incarnazione) ricoprendo di sé il volto del cieco (maschera: persona).
L’acqua della fontana di Siloe che rappresenta il Cristo in cui siamo immersi…
L’acqua, della cui simbologia è pervasa tutta la Bibbia, come rimando a: Esodo, purificazione, l’episodio della Samaritana, Crocifissione, qui la “saliva”, ecc.
Il cieco “reso” dal Cristo “alter Christus”. Nell’“essere” (cioè nel suo essere figlio, nella sua relazione col Padre, nel suo essere oramai definitivamente risorto). Infatti a una domanda su di sé risponde con le stesse parole, di forte rilevanza cristologica e teologica, che altrove Gesù stesso usa per se stesso: “sei tu il cieco?” parallela a “sei tu il Cristo?” e la risposta teofanica identica “sono io” (“ego eimi”: Io-Sono). A questo si aggiunga la “maschera di fango” di cui abbiamo già parlato… Nella missione, la fontana stessa il cui nome significa ‘inviato’ simboleggia il Cristo (inviato dal Padre), l’Apostolo e il cieco-cristiano-battezzato (inviati entrambi da Cristo): il battesimo ci rendi “missionari” del Padre “come” lo è il Cristo. Nel “donare la vita”: anche il cieco, come Gesù e poi i suoi discepoli, è “cacciato fuori”.

Interessante sarebbe poi far “giocare” tra di loro i vari significati a cui la stessa parola-simbolo rimanda. Portando la comprensione della profondità della elaborazione letteraria e teologica del Vangelo di Giovanni a livelli tali da “far venir le vertigini”: non stupisce che l’Apostolo sia rappresentato nell’iconografia cristiana da un’aquila.
Ad esempio, in questo modo il “fango” apparirebbe, contrariamente al nostro senso comune, in qualche modo parte costitutiva dell’essere umano, anzi di Cristo stesso, tale che chi volesse santificarci purificandoci dal fango, non farebbe di noi degli “angeli” o dei santi ma, come l’esperienza spesso dimostra, degli esseri abominevoli, aberrazioni mostruose in umanità contraddicendo la "logica" profonda della stessa Incarnazione del Figlio di Dio…

· La prospettiva che emerge da questo Vangelo quindi è quella che vede nel battesimo, come era chiamato nell’antichità cristiana, il “rito della illuminazione”: passaggio dalla cecità alla visione… Si veniva immersi nell’acqua per simboleggiare l’abisso tenebroso della nostra vita prima dell’incontro col Cristo e si veniva fatti riemergere alla superficie, alla luce, alla visione. Questo passaggio dalle tenebre (morte, peccato, uomo vecchio, cecità…) alla luce (vita, grazia, uomo nuovo, visione…) era ed è il battesimo: è la Risurrezione di Cristo che diventa “ora” anche la mia risurrezione. Il battesimo ci fa risorgere ora, non dopo la morte: infatti è considerato anche il rito della rinascita (risurrezione) dalla morte (immersione) alla vita (emersione) senza fine e di Dio (eterna) e per questo detta “nuova” (come “nuovo” è il vissuto che ne sgorga: la giustizia, pace, gioia… ).

· In effetti a ben pensarci, credere che Gesù sia Figlio di Dio, credere nella sua presenza eucaristica, io personalmente non lo trovo così “difficile” o “incredibile” o “impossibile” da credere: in fondo se Dio è Dio… Non trovo così difficile nemmeno crede che il Figlio di Dio possa risuscitare, se Dio è Dio e Gesù è Dio… “Cose” del genere, anche se ovviamente di significato ogni volta diverso, si trovano anche in altre religioni…
Quello che io invece trovo veramente inaudito, incredibile, impossibile per un uomo, persino da credere e non solo da farsi, perché al di là di ogni possibile logica e speranza umana, è che questo sia dato a me come dono nella storia. Ora! e non come semplice possibilità, “post mortem”… Questa però è la novità che il Vangelo di oggi cerca di fare emergere alla nostra consapevolezza, con il racconto del “cieco nato”: che uno come me, uno come te, possa già essere “risorto” da vivo. E non tanto che possa risorgere dopo la morte come anche il “Credo” ci dice: non stupisce che pochi oggi ci credano ancora, infatti se non si vive la risurrezione da vivi come si può credere che sia possibile da morti? Da questo punto di vista il battesimo così inteso è veramente qualcosa di inaudito: il battezzato è già ora un “illuminato”, un risorto a vita nuova, e se risorto, è già uno che vive della “visione” (la distinzione tra le varie forme di visione è estranea alla mentalità giovannea, visto che la res è la stessa: cfr beata Elisabetta della Trinità)!
Non a caso era ed è celebrato sempre in riferimento alla Pasqua e di per sé è durante la Veglia Pasquale che trova la sua collocazione liturgica naturale: cioè in stretta connessione con la Risurrezione di Cristo. E ci sarà pure un perché… e il vangelo di Giovanni di oggi ce lo dice, anche se per capirlo bisogna “scavare” un po’…

Questa dunque è la prospettiva inaudita che ci propone il Vangelo di Giovanni oggi! È certamente la prospettiva di un “mistico”, ma non certo di un sognatore, e in ogni caso, Dio attraverso Giovanni, ci chiede di farla nostra!

E infatti è così “diversa” da quanto una certa tradizione teologica e catechistica “smemorata”, ci ha trasmesso, che ce ne dimentichiamo spesso, se non come riferimento al passato e a qualcosa che il nostro presente “fangoso” ha di fatto cancellato e che il nostro futuro vede solo come ipoteticamente probabile.
E allora ecco che ci sono degli zombie che si aggirano oggi nella nostra comunità cattolica: gente che sebbene “moralmente ineccepibile” (sic!) vive nelle tenebre, e che vuole che tutti vivano nelle tenebre, perché è gente che sembra ancora in attesa di essere battezzata, illuminata, risuscitata, guarita, salvata. Gente che ci vuole “distrarre” dalla visione giovannea del dono ricevuto perché gelosa della nostra gioia. Gente che di fatto, al di là della fede professata a parole, attende ancora il Messia-Liberatore, perché dice che è venuto, ma in fondo in fondo non ci crede, perché nella loro prospettiva non è cambiato granché nella nostra vita: al massimo l’ontologia, ma non ancora la vita concreta… È gente più esperta delle cose di Satana che delle cose di Dio. Vivono della paura dell’inferno e del peccato e dell’eresia… Questi sepolcri imbiancati, buffi fuori e morti dentro, come vampiri si aggirano cercando la vita da succhiare, trasformando le loro vittime in altrettanti vampiri. Mercanti di tristezza, aspettano angosciati il “non ancora”, negandosi il godimento del “già” ricevuto… E temono di non averlo affatto questo dono. E così non l’avranno mai! Gente che vive a partire dal problema, e fa dei problemi un orientamento di vita, cercando di uccidere l’anima rinata nella gioia di una vita rinnovata, dove il problema non fa più problema perché è stato trasformato in grazia.

“I fumi di Satana sono entrati nella Chiesa” disse un giorno Paolo VI, anche in questo ha avuto ragione: lo troviamo dappertutto questo fumo: nei gangli profondi del nostro io quando cede alla paura; nelle nostre comunità religiose e cristiane, nei movimenti cristiani laicali. Alcuni hanno una radio e hanno il loro maestro che predica più sul diavolo e l’inferno che su Dio e il paradiso (evidentemente ciascuno parla di ciò che vive). Altri come appestati infestano il “web” con le loro deliranti scomuniche illudendosi di una fedeltà alla Chiesa e al Papa che invece tradiscono in radice, facendoli apparire “annunciatori di tristezza” piuttosto che “annunciatori di gioia”… Ma resta su di loro il giudizio definitivo di Cristo: non praevalebunt.

Il cristiano invece sa che “le porte degli inferi non prevalgono” perché egli è colui che ha creduto e sperimentato che nel battesimo, la luce, la risurrezione, la salvezza, la visione (e quindi l’evidenza del dono donato) e tutto ciò che è di Dio, gli è già stato dato. Definitivamente! Certo anche per lui c’è il “non ancora”, ma ha orientato la propria esistenza non sull’angoscia avida del “non-ancora” ma verso la gratitudine povera del “già”: è la speranza giovannea, parola che nel suo Vangelo è assente, perché non è attesa di qualcosa che ancora non si possiede, ma molto di più, certezza che ciò che già gli è dato, e quindi che già possiede, non potrà che accrescere e non gli verrà mai più tolto. E ne gode la pace con ri-conoscente eucaristia.

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