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domenica 9 marzo 2008

Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto

Un Dio inaffidabile?…
Il problema dell’amore è che, perché sia vero amore, deve essere ad espansione totale. Non certo riservato a chi ha amici potenti… e può difenderlo con i miracoli! “…se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” vale per tutti i morti, tanto più per quelli che non hanno neanche uno che li piange e che prega per loro! È un lamento che si può rivolgere solo a Dio. È il lamento che fonda ogni religione e la rende indistruttibile, come la morte che lo genera. Un gemito che tiene viva la religione, ma ne è anche è la spina mortale, che la rende debole, sostanzialmente inaffidabile, perché non è nei poteri di Dio di impedire che gli uomini muoiano... E infatti continuano a morire, nonostante questa implorazione salga a Dio milioni di volte al giorno. E gli uomini ne concludono sempre più che… Dio è inaffidabile! Ancora una volta però il volto di Dio rivelato da Gesù (il volto di suo Padre, che solo lui conosce… e quelli a cui vuole rivelarlo!) non assomiglia per niente al maschera del Dio che ci hanno trasmesso e pure rimane così difficilmente sradicabile dal nostro cuore.
Guardare in faccia la morte.
“…se tu fossi stato qui!” La compagnia, la solidarietà, la compassione d’amore e d’amicizia sono il dono più grande che ci è fatto sulla terra, la spiaggia estrema della speranza. Perché hanno dentro appunto la pretesa mite e struggente della continuità (che i filosofi chiamano immortalità), altrettanto inestirpabile dentro di noi quanto la certezza della morte. Quando il lutto e il suo dolore inconsolabile ci hanno sconfitti non ci resta che aggrapparci all’amore di solidarietà per sopravvivere, sognando l’impossibile… “…se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Lazaro manca perché è mancato Gesù! Piangono le due sorelle, piangono i giudei venuti a consolarle… Gesù scoppia in pianto! Qui Gesù piange un morto di famiglia, la famiglia dei suoi amici più cari. Freme sotto il peso – l’ingiustizia ineludibile!? ‑ della tragedia di noi uomini. La vive dal di dentro, come capita a ciascuno di noi, man mano che la vita ci deruba di ciò che ci ha donato.
Ma se la solidarietà non si lascia bloccare dalla paura, se l’amore è aperto alla morte, la morte vi entra… Ognuno che ti si aggrappa (dice che “gli appartieni!”) ti chiede di lenire il suo dolore. Ma ti sta domandando di morire – un poco o tanto ‑ per lui (poi, alla fine, capirà che sarà …“con lui!”). E chi si assume davvero il dolore dell’altro, non può non assumere, attraverso il singolo, tutta la sofferenza dell’umanità… un’infinita catena di lutti (…nel suo cuore nessuna croce manca – direbbe Ungaretti – è il suo cuore il paese più straziato!). Uno strazio senza speranza!? L’amore sta di qua, da quella terribile soglia, o va di là?
La morte ci uccide prima che moriamo
Qui Gesù inserisce la novità del suo messaggio mite ed eversivo: Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato. Rispetto alla cultura corrente è la stessa “buona notizia dirompente” che apre e illumina il racconto della samaritana: come mai chiedi da bere a me?… si meravigliarono che parlasse con una donna. O del cieco nato : né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma perche si compiano le opere di Dio! O dell’uomo malato da trent'otto anni: vuoi guarire? Sempre Gesù si oppone ad una specie di rassegnazione omertosa alle situazioni di malattia, di oppressione e schiavitù sociali o religiose o economiche… Non accetta l’acquiescenza all’insensatezza della morte, che anestetizza l’istintiva ribellione elaborando il lutto attraverso razionalizzazioni e riti, ma che di fatto corrode la fiducia nella vita, sbarrando all’amore il suo futuro. L’amore che cerca una strada per salvare a tutti i costi la vita non deve essere deviato nel mondo irreale dei sogni e delle ombre.
L’appartenenza ferita due volte: Io sono la risurrezione e la vita
Mai come adesso, mentre afferma che la morte non è una malattia mortale, ma guaribile… perché lui può ridonarci la vita, Gesù sente stringersi attorno il cerchio della morte. Solo chi accetta la sfida di un amore di appartenenza più forte della morte diventa libero dal ricatto “mortale”. Una libertà inaccettabile dal sistema che, poiché vive di questo ricatto, ne rimane sconvolto, si divide, infine espelle chi lo insidia. Proprio per questa testimonianza intollerabile i martiri, che non si lasciano vincere dal ricatto della morte, devono essere uccisi, perché sono indomabili dal potere. La voce esterna che accompagna questo racconto evangelico, ne annuncia la necessità drammatica: Questo però [Caifa] non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote in quell'anno, profetizzò che Gesù stava per morire per la nazione, e non per la nazione soltanto, ma anche per radunare insieme nell'unità i figli dispersi di Dio. Da quel giorno dunque decisero di farlo morire (11,51ss). Il capro espiatorio è mandato a morire fuori dall’accampamento nel deserto – una dis/appartenenza desolata. Ma è solo la prima! Queste stesse donne ascolteranno l’urlo di dolore della seconda dis/appartenenza: quella dell’abbandono totale sulla croce, il grido inarticolato di Gesù nell’implorazione disperata al Padre. La dis/appartenenza, al momento estremo della vita, è il terrore di ‘non essere mai più di nessuno’: è questa la vera morte! Ma chi sfida il potere della morte per amore, tocca il mistero dell’essenza del Dio vivente, cioè il mistero della vita e della morte, come sapeva l’antico serpente. “Chi ama la sua vita la perde, dirà Gesù poco dopo, chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna… ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora. Padre glorifica il tuo nome” (12,25ss)
… chi crede in me anche se muore vivrà!
Questa pretesa sbalorditiva è il cuore della vita e del messaggio di Gesù! La resurrezione di Lazaro è solo l’occasione per la manifestazione del vero mistero di Gesù. Infatti quella di Lazzaro non è propriamente una risurrezione ma la rianimazione di un cadavere. E Lazaro non entra in un nuovo livello di vita (“eterna”, cioè non più mortale), ma morirà ancora! "La risurrezione della carne", che professiamo nel Credo, è un’altra qualità di vita. Questo è il destino che ora Cristo restituisce all'uomo: non una rivivificazione (o una reincarnazione!), ma una pienezza di vita, la vita stessa di Dio! “Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Credi tu questo?” Tale rimarrà per sempre la domanda che assilla il cristiano e la chiesa, dentro la storia di questo mondo. Sulla fede in “questo!” si decide e si qualifica la nostra vita e la nostra morte. È la fede in Cristo che riscatta dalla morte, ieri come oggi. Gesù è risuscitato per essere "il primogenito dei risorti", non un caso unico. Ha fondato con la sua morte una nuova solidarietà creaturale, un’appartenenza eterna che non sarà mai più insidiata dalla morte. Nel testo greco, san Paolo ha dovuto inventare delle parole nuove: convivificati, conrisuscitati, fatti consedere alla destra di Dio! Perché "quel medesimo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi" (Rm 8,11).
Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio? Come a Marta e Maria anche a noi sembra impossibile … che la “gloria di Dio” (cioè, la vita umana che in lui diventa “eterna” !) si realizzi nella nostra pelle già da quaggiù, perché la nostra carne e la nostra storia “puzzano di morto” da millenni, destinate alla corruzione da catene invincibili… La professione di fede in Gesù è professione di fede nella vita: Gesù sfida Marta a questa fede. Non basta credere in una nebulosa risurrezione che avverrà alla fine dei tempi, ma si deve credere che la Risurrezione è vera ed efficace nella persona di Gesù e in quelli che credono in lui – dentro l’usura del nostro quotidiano banale, in queste nostre situazioni difficili e ambigue, che ci coinvolgono ogni giorno. Come per Marta, senza aver ancora visto il segno concreto della risurrezione di Lazzaro, la sfida umile della fede è un’attesa: "Sì, Signore. Io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, quello che deve venire nel mondo ". L’attesa di un esito sicuro. Gesù disse loro: “Scioglietelo e lasciatelo andare”!

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[dalla lettera di un’amica, alla periferia del mondo ]
…Ivaneta è morta sabato 26 gennaio. Ha passato con noi poco più di due mesi, ma sono stati giorni molto intensi. Era già passata dalla Casa quando ha partorito la prima figlia a 11 anni. È arrivata… e dopo qualche giorno ha consegnato tutto, tutto della sua vita, senza nascondere niente a sé stessa e a noi. Ferita da una mamma che l’ha abbandonata a causa di droga e alcol, ferita dal fratello che l’ha violentata ancora bambina, ferita dal non sentirsi di nessuno e di tutti, senza più riuscire a fermarsi – diceva… ferita dalla sguardo di chi dava giudizi e ‘buoni consigli’ . Dopo un tempo passata a S. Paolo, con le sue bimbe , a servizio di una trafficante di droga, che l’ha schiavizzata, è tornata a casa per ricominciare una nuova vita e ha scoperto la malattia. Mi ha ricordato tanto la Teresina, a mani vuote, nuda davanti al Signore e a noi. Con una domanda continua sul perché di tanta sofferenza, ma con un abbandono fiducioso nella bontà del Signore. Coltivava il sogno di poter guarire e avere una casa, preparare la colazione per i suoi bimbi. Qualche giorno prima di morire (era tutta consumata, solo pelle e ossa, ma lo spirito vivo) mi dice: “sono diventata come te, una suora! Non ho più desiderio di uomini… sarà che il Signore mi accoglie? Voglio pensare solo ai miei bimbi…”
…non aggiungo altro, e ora piango dalla commozione e gratitudine di aver fatto un pezzetto di strada con lei, custodisco nel cuore questa perla preziosissima… che ci aiuti a sanare le ferite e ricostruire rapporti nuovi…
[Sr Nico]

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