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venerdì 11 gennaio 2008

La predilezione che porta a morire

Leggendo i testi che la Chiesa ci propone per questa domenica, dedicata al Battesimo del Signore, ci si accorge subito che il filo conduttore che li lega è il tema della predilezione.
La prima lettura, in questo senso, esordisce in modo esplicito: «Così dice il Signore: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio”». Ma pure il Vangelo, che riferisce la profezia a Gesù, non è da meno: «Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”». E infine anche il Libro degli Atti, pur con sfumature linguistiche diverse, ripresenta lo stesso valore semantico, parlando di Gesù come «il Signore di tutti», come colui che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza».
I termini con cui questa predilezione è espressa, tra l’altro, sono da prendersi in senso forte:
- i significati di eletto (Is 42,1) e di amato (Mt 3,17) in greco resi rispettivamente con εκλεκτός (eklektos) e con αγαπητός (agapetos), letteralmente sarebbero infatti: scelto, eletto, adorato, stimato, caro, preferito, degno di amore;
- allo stesso modo l’idea del compiacimento (Is 42,1 e Mt 3,17), in greco ευδοκέω (eudokeo), ha la valenza forte di sembrare buono a qualcuno, essere un piacere per qualcuno, ritenere buono, scegliere, preferire, essere ben compiaciuto di, prendere piacere in, essere favorevole verso qualcuno;
- e infine lo stesso concetto di consacrazione, espressa in Atti 10,38 fa riferimento al verbo greco χρίω, ungere, il cui senso forte è immediatamente evidente se si nota che da esso deriva lo stesso termine Cristo.
Si sta parlando allora di un personaggio di grande consistenza, che ha tratti molto allettanti: chi in qualche modo non desidera essere il prediletto di qualcun’altro? Chi non rimpiange il tempo in cui è stato amato, preferito in modo speciale? Chi non vorrebbe essere sempre nella condizione di essere il compiacimento di un altro?
Eppure, se possibile, questa prospettiva, che già così riscalda i nostri cuori, qui addirittura ha un superamento: il personaggio in questione infatti non solo è eletto, amato, consacrato, ma lo è da Dio in persona! È Dio stesso che si compiace di lui!
E immediatamente la nostra immaginazione prova a percorrere il senso di queste parole, segnate ora, proprio perché hanno Dio per origine, da definitività, totalità, incommensurabilità… Chi può essere questo prediletto? Che cosa avrà mai fatto per esserlo? E soprattutto… come sarà avere dalla propria parte niente meno che Dio («Dio era con lui» At 10,38)?
La nostra fantasia però, che immediatamente associa l’idea di predilezione a quella di personale privilegio, va tenuta a bada, perché proseguendo la lettura dei passi che la liturgia ci propone, scopriamo che l’eletto biblico è connotato diversamente da come ce lo aspetteremmo…
Isaia infatti di questo servo eletto dice che «porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra».
Ma come? Che razza di prediletto è questo? Di lui non è detto niente… non è riportato nessun effetto vantaggioso che gli deriva dalla sua situazione di privilegio… non c’è nessuna logica di esclusività che lo separa dalla massa di tutti gli altri… anzi… tutto quanto è detto di lui si riferisce al bene di altri…
Inoltre il profeta sembra proprio convinto che la logica sia questa, tant’è che prosegue dicendo: «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre».
Questa logica inaspettata da parte di un privilegiato, questa logica cioè per cui l’essere preferito è a vantaggio di altri, porta necessariamente a un rimettere in discussione il nostro modo di pensare l’essere scelti… spesso così arroccato in una separatezza dal resto del mondo… anche confessionalmente e vocazionalmente parlando…
Ma non solo… da ripensare è anche l’identità di colui che predilige… che predilezione è infatti quella i cui effetti benefici trasbordano rispetto al prediletto? In fin dei conti, che Dio è il Dio che di Gesù dice «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» e poi lo lascia morire in croce per la salvezza di ogni uomo? Qual è la logica che ci sta dietro?
A dire il vero, anche se ogni volta ci sconvolge le impalcature mentali, è proprio la logica di sempre di Dio… quella dell’elezione inclusiva e mai esclusiva («Dio non fa preferenze di persone», At 10,34)… che è valsa per Abramo, per Mosè, per Davide, per il popolo di Israele … scelti non per un privilegio discriminante che escludeva gli altri, non per qualche particolare merito, non per una dinamica elitaria che dividerebbe il mondo in salvati e dannati, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, puri e impuri… Ma scelti invece per essere poli di irradiazione di un amore che, se non può che essere sperimentato nella propria individualissima singolarità (privilegio), chiede però, per inverarsi, di rompere gli argini e di essere resa possibile nell’esperienza personale di ogni uomo.
Questo è il senso dell’elezione! Ed è proprio per questo che l’elezione è sempre a vantaggio degli altri… di Gesù infatti Pietro in Atti dice «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo».
Ma non è ancora tutto… I testi sembrano aprire lo spiraglio ad altro…
Non solo la logica dell’elezione è a vantaggio degli altri, ma addirittura, stando al Vangelo, è a svantaggio del privilegiato…
Cerco di spiegarmi: indubbiamente c’è un privilegio nella predilezione, soprattutto in quella divina. È l’esperienza di un’intimità con Dio talmente profonda da essere conformante, per dirla alla san Paolo… Eppure… l’entrare nella logica di Dio, nel suo Spirito, nella sua essenza, nella sua comunione, nel suo orizzonte di senso, porta l’eletto a una definitività, a una totalità, a una incommensurabilità dell’amore che quando si scontra col mondo diventa per lui mortifera…
L’entrare a far parte del circolo amoroso del Dio-Trinità implica l’assunzione anche di quell’aspetto dell’amore che è la sua debolezza, la sua fragilità, la sua feribilità…
Essere prediletti da Dio allora vuol dire finire in croce…
E difatti il versetto che segue immediatamente la conclusione del brano degli Atti che leggiamo in chiesa domenica, suona così: «E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce» (At 10,39).
Le letture di questa domenica allora sono un richiamo forte a qual è il modo evangelico di essere scelti! La Chiesa, giustamente detta il nuovo Israele, il nuovo popolo eletto, di fronte a questi testi biblici non può non fermarsi a riflettere sul suo modo di vivere l'elezione… Troppo spesso infatti cattolico (letteralmente per tutti, universale, dal greco κατά όλος) è diventato sinonimo di chiusura, arroccamento, separatezza discriminante. Una logica che poi nella vita quotidiana si ripercuote nella necessità di gerarchizzare, di separare gli ambiti (sacro – profano; laico – consacrato; ordinato – cristiano di base), di delimitare le identità (maschio – femmina; giovane – maturo; normale – diverso)… tutte cose che mi pare abbiano poco a che fare con il dono di un’intimità con il Dio di Gesù Cristo nello Spirito, che si fa irradiazione d’amore a vantaggio di ogni altro essere umano… anche a costo della vita…

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