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giovedì 3 gennaio 2008

Le genti sono chiamate a condividere la stessa eredità

In questa prima domenica del 2008, che coincide con la festa dell’Epifania, mi pare che la liturgia della Parola presenti nella prima (Is 60,1-6) e seconda lettura (Ef 3,2-3a.5-6) la medesima struttura riflessiva: entrambe infatti partono col descrivere una situazione di negatività, tenebre, peccato e arrivano all’annuncio del suo superamento grazie ad un evento nuovo.
Per quanto riguarda Isaia infatti, se facciamo un passo indietro rispetto al brano propostoci dalla liturgia, per esempio al capitolo 59,3-4, scopriamo parole di questo tipo: «Le vostre palme sono macchiate di sangue e le vostre dita di iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogne, la vostra lingua sussurra perversità. Nessuno muove causa con giustizia, nessuno la discute con lealtà. Si confida nel nulla e si dice il falso, si concepisce la malizia e si genera l'iniquità». E, allo stesso modo, Paolo in Ef 2,11-12, dipinge così la situazione passata delle persone a cui sta scrivendo: «Perciò ricordatevi che un tempo voi, pagani per nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi perché tali sono nella carne per mano di uomo, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo».
Sembra di sentir riecheggiare la storia dell’uomo di sempre: mani macchiate di sangue, iniquità, menzogne, ingiustizia, malizia... è la vita di tutti e di ciascuno, sempre in qualche modo avvelenata dal male fatto e subito, senza Dio e senza speranza... è la vita anche dell’uomo religioso che sempre divide gli altri in circoncisi e incirconcisi, giusti e ingiusti, puri e impuri, buoni e cattivi...
È la storia di sempre, eppure i testi biblici a proposito di queste situazioni annunciano un superamento: c’è come una svolta, qualcosa di tanto determinante che fa sì che le cose non siano più come prima; eventi nuovi cambiano il destino dell’umanità:
- per quanto riguarda Isaia la svolta è narrata al cap. 59,16: «Egli [il Signore] ha visto che non c'era alcuno, si è meravigliato perché nessuno intercedeva. Ma lo ha soccorso il suo braccio, la sua giustizia lo ha sostenuto».
- per quanto riguarda Paolo, la troviamo nelle parole scritte agli Efesini (cristiani che non avevano radici ebraiche ma pagane) al capitolo 2,4-5: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo».
Entrambi sembrano invitarci a fare questo percorso: l’uomo se si riferisce solo a se stesso non sa scrivere che una storia di sangue, di selezione, di competizione e prevaricazione... nessun prodotto meramente umano, neanche quello più religioso o eticamente corretto, può tirarsi fuori da questa spirale di morte. Senza qualcuno che lo salva, l’uomo è perduto: è destinato alla tomba! E la consapevolezza preriflessa di questo gli ingenera un istinto di sopravvivenza omicida: per scampare il più possibile è costretto a macinare tutto quanto ha intorno... è la vecchia solita logica del Mors tua, vita mea...
L’annuncio nuovo posto invece dalle Scritture è che per l’uomo c’è una possibilità diversa: quella di un riferimento Altro, di una promessa di Vita che gli risparmi la fatica di salvarsi la pelle a scapito della pelle degli altri, aprendo l’orizzonte di un guardarsi in faccia, per amarsi, per condividere la vita al punto da essere disposti a dire Mors mea, vita tua.
E questa nuova possibilità di Vivere la vita, che Isaia descrive con i toni della luminosità («la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te»), Paolo la chiama per nome: è Cristo Gesù! In lui «le genti sono chiamate a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo».
Con Gesù l’uomo, ciascun uomo, è abilitato ad una storia nuova: quella dell’amore inclusivo! Con la buona notizia della salvezza, cade ogni paura della morte, cade ogni necessità di calcolo, di accaparramento, anche del bene! Cade la logica dell’esclusività, del fatto che il bene fatto ad un altro è in qualche modo un bene tolto a me... Cade la mentalità ‘religioide’ dei salvati e dei dannati, identificati nei modi più diversi nella storia dell’umanità credente.
Ecco perché nella rilettura teologica dell’infanzia di Gesù, fatta quando Gesù è già vissuto, morto e risorto, e fatta appunto a partire dalla sua vita, morte e risurrezione, sono degli stranieri, dei magi che vengono dall’oriente, quelli che lo riconoscono... sono i lontani, quelli per definizione fuori: fuori dalla salvezza, fuori dall’amore e dalla custodia di Dio, fuori anche dalla speranza: «Voi, pagani per nascita, [...] eravate [...] esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo».
Con la narrazione di una breve storia è invece presentato il ribaltamento della mentalità dell’esclusione! È una logica nuova quella che è messa in campo: quella dell’amore, che, se è vero, agisce per contagio e non ha paura dell’ultimo nuovo arrivato, del diverso, del lontano. Esso non fa più paura, perché è immediatamente inserito in una dinamica di benevolenza, in un itinerario di liberazione, in una familiarità che dilata il cuore, suo e di chi lo accoglie...
È solo in questa prospettiva che Paolo stesso in Gal 3,28-29 può affermare che ogni barriera è tolta: «Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa».
Ma tutte queste parole hanno bisogno di incarnarsi, di prendere corpo con la fantasia dello Spirito nella storia degli uomini, nella storia dei cristiani. Forse noi siamo troppo abituati a sentirle e non riusciamo più a farci suscitare un 'giramento di viscere'... Sarebbe stato interessante avere una foto delle facce degli ebrei che le sentivano per la prima volta...
Ma forse basta provare a ritradurle con parole che riecheggiano situazioni più attuali per capirne la portata: Gesù ha rivelato il volto di un Dio che sta tutto dalla parte di quelli che noi a vario titolo lasciamo fuori. E fuori dalle nostre società (e dalle nostre chiese!!!) ci stanno gli stranieri, ci stanno i poveri, ci stanno i peccatori, ci stanno le donne, ci stanno i vecchi, ci stanno quelli che non la pensano come noi... e chissà quanti altri...
È un continuo bisogno di tracciare confini, di delimitare le appartenenze, di segnare il territorio...
Se solo tornassimo a quelle parole di salvezza e ci aprissimo a quell’incontro d’Amore che libera, ci accorgeremmo di come tutti i morti che lasciamo sulla nostra strada (come singoli, come società, come Chiesa), sono solo le vittime della nostra paura... mascherata dietro a ragionamenti molto politicamente corretti, ovviamente...E così continuiamo a star dentro... mentre Dio per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito santo... è lì fuori con loro... in una capanna.

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