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venerdì 30 maggio 2008

Perché la casa non crolli nel nubifragio

Con la ripresa del tempo liturgico “ordinario” ritorniamo al Vangelo di Matteo, appena dopo il discorso della montagna (cap 5-6-7), dove Gesù ha esposto il manifesto del Regno di Dio. L’opposizione con il Regno dell’uomo (con il modo di ragionare e vivere usuale nel mondo di allora come oggi!) è inequivocabile. Il capovolgimento dei valori è radicale (avete inteso che fu detto… ma io vi dico!...). Alla fine del discorso programmatico Gesù stesso, come Mosè nel deserto, ci pone di fronte alla scelta tra le due vie o le due porte per entrare nella vita, perché non ci capiti di chiudere gli occhi di fronte al dramma della scelta: stretta è la porta e angusta è la via che conduce alla vita… e pochi sono quelli che la trovano ma dai frutti li riconoscerete (7, 14s).

...chiunque ascolta queste mie parole e le fa, è un uomo saggio, che costruisce la sua casa sulla roccia!
Gesù si rivolge ai credenti, al gruppo dei suoi discepoli che già lo seguono (Matteo scrive per i cristiani che già fanno parte della chiesa!). È a noi dunque che si propone questo criterio di giudizio dirimente sulla nostra fede. Non è Gesù che giudica e condanna, ma la vita stessa rivelerà chi fa della sua Parola il criterio di comportamento e il senso della propria esistenza… e chi invece, pur in una vita piena di atti e gesti religiosi, “stranamente” non viene “riconosciuto” dal Signore. Si può dunque esser molto religiosi e addirittura compiere gesti profetici prodigiosi, ma non avere una vera relazione con lui. Non si tratta della dolorosa incoerenza tra il dire e il fare che tutti ci portiamo dentro, nella faticosa ricerca di aderire a lui, ma si tratta di una questione molto più grave – certo la più demolitrice che un cristiano possa sentirsi dire dal Cristo stesso: non vi ho mai conosciuti! É il fallimento totale della vita cristiana, nell’angosciante sconcerto: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato?... cacciato demoni?... fatto miracoli nel tuo nome? La risposta è tragica: lontano da me, operatori di iniquità!
Ascoltare e fare: Ma cosa è successo? Si sono scissi i due elementi che costruiscono la vita umana: la conoscenza e la volontà, il pensiero e l’amore – ascoltare e fare! Entrare nel Regno, cioè imparare quaggiù sulla terra la vita vera (divina o eterna), non vuol dire ripetere gesti o parole o riti… e neanche opere prodigiose… che rimangono tutte al di qua della morte, ma vuol dire fare la volontà del Padre. Consegnargli la propria vita, perché non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici. Gesù infatti non vuole più servi (legati dalla re-ligione, appunto!), ma amici. E quale sia la volontà del Padre nella nostra storia ce lo ha insegnato la sua stessa Parola fatta carne come noi, in lui, Gesù di Nazareth, cioè nel suo vangelo, nei suoi gesti nel suoi sentimenti! L’unione di questi atteggiamenti vitali è il punto culminante della proposta evangelica. È un ritornello anche nel Vangelo di Giovanni: Se mi amate osserverete in miei comandamenti… chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama (14,15ss). Non c’è azione cristiana se non ispirata continuamente e ripetutamente alla contemplazione: cioè alla Parola da accogliere e capire, come Maria, per potere poi donarsi ad essa (avvenga a me secondo la tua parola! Lc 1,38). Altrimenti, nel giro di breve, il discepolo, travolto dalle vicende della storia, si impregna talmente di logica umana da non riconoscere più la parola di Dio, pur continuando a ripetere: Signore, Signore
pongo oggi davanti a voi una benedizione e una maledizione… è il nostro dramma umano e cristiano! Noi vogliamo la benedizione di Dio, e sappiamo che Dio non la ritira mai da noi: ci ha fatti per la vita e per la pienezza della gioia. Ma troppo spesso, con l’incoerenza delle nostre opere, invincibilmente “diciamo male”, ci male/diciamo, attribuendone a Dio la responsabilità. L’alleanza che Dio ci garantisce, esige che noi accogliamo la Parola non come legge da osservare, ma proposta d’amore che, come un fermento, deve impregnare rigenerare a nuova vita tutto il complesso della nostra persona (cuore, anima, mani, occhi… dice il Deuteronomio). Ma noi siamo refrattari all’amore di Dio, perché abbiamo paura che ci faccia morire… Perciò le Scritture sono il racconto delle infedeltà del popolo amato dal Signore. Non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio: non c’è differenza tra uomini di una religione o dell’altra o … senza religione! Non è lì il criterio della salvezza…
La fatica del linguaggio. È arrivata al suo culmine negli ultimi decenni, in occidente, una tale trasformazione del linguaggio, della sensibilità, della qualità della vita umana, e insomma di tutto l’insieme del contesto culturale, che il linguaggio non riuscito a star dietro al cambiamento, e le etichette e i nomi con cui ci sono state trasmesse tante esperienze, processi vitali, dinamiche di vita e di fede rischiano di perdere di significato. Col pericolo di non di non riuscire più a consegnare alla generazione successiva l’esperienza del popolo cristiano. Il confronto diretto con la Parola è diventato insostituibile per capire e ricollocare i significati dentro le parole e agganciarli all’esistenza quotidiana. Il Vangelo parlo di persone religiose e tanto praticanti, da compiere opere eccezionali sotto l’etichetta “religiosa”, ma che sono del tutto “estranee” a Gesù! Allora cosa vuol dire la loro “religione”? Il Vangelo riferisce anche di persone non religiose, che addirittura ignorano il Signore e il suo vangelo, ma sono state fedeli a lui fino a conseguire la vita eterna, e allora vuol dire che c’è una qualità di vita, che sfugge all’ambito religioso, ma è essenziale per il rapporto con Lui (Signore, quando mai ti abbiamo visto…? ogni volta che avete fatto queste cose ad uno di questi piccoli l’avete fatto a me! cfr Mt 25,44s).
la salvezza si è manifestata indipendentemente dalla “legge”. Nella visione di Paolo “legge” è tutto ciò che proviene dall’uomo, è la cultura umana elaborata nei millenni, con le sue istituzioni, le religioni stesse, la civiltà intera… nel suo impasto di bene e di male. L’uomo nonostante questa ricchezza immensa, non è capace di salvarsi, di uscire radicalmente dal suo egocentrismo che lo paralizza nell’amore. I riti religiosi, da soli, chiudono e intristiscono ancor più l’uomo nel suo dramma di conoscere le sue catene e non potersene liberare e covano sempre la deriva farisaica di presumere di salvarsi con i soli mezzi umani. La conoscenze supreme filosofiche, religiose, morali non danno la forza della coerenza. Come dice Paolo: Noi riteniamo che l'uomo è giustificato per la fede senza le opere della legge. Per regalo, dunque! Per grazia! In genere si pensa che chi pratica la religione e compie le pratiche previste, sia per questo una persona spirituale, mentre chi non crede a tutto ciò (e magari neanche in Dio) non lo possa diventare. La differenza tra credenti e non credenti, secondo il vangelo passa invece per un’altra strada: l’arcana forza di Dio che è presente nel corso delle cose e negli avvenimenti della storia umana (Vat. II NA 2), che per il credente è la “forza” dello Spirito di Gesù, è molto più ricca delle creature e può suscitare in loro risorse e possibilità non ancora espresse. Ma occorre un atteggiamento profondo di accoglienza e di consegna di sé. Allora la forza vitale che attraversa e muove le nostre strutture umane (cuore e mente, mani e occhi… che anelano empatia, oblatività, tenerezza, misericordia…) le rende in qualche modo spalancate alla gratuità di cui l’uomo non è capace (è celeste, eterna). le impregna e rivivifica nell’esperienza di una dedizione che non proviene solo dall’uomo, è teologale. Lo chiamavamo “soprannaturale”, perché non riducibile alle nostre insufficienti risorse! Se lo si chiama “spirituale” non è per escluderne la componente psicosomatica, ma per riferimento al pro/motore, che è lo Spirito, la roccia che, anche se viene il nubifragio, che porta via ogni sostegno umano, continua a tenere in piedi la “sua” casa dentro di noi!

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