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venerdì 21 novembre 2008

Il Re dell’universo è il più piccolo degli uomini.

Ciò che avete fatto ai miei fratelli più piccoli, è a me che l'avete fatto.

Gesù conclude il lungo discorso sulla fine del mondo mettendo in scena, davanti ai suoi uditori, una rappresentazione drammatica, più che una parabola come le due precedenti. E in questo racconto figurato condensa la risposta decisiva, quanto mai esplicita e provocatoria, alla domanda dei discepoli: "Dì a noi, quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?" (Mt 24,2). L'obiettivo è lo stesso delle altre parabole, ma ancora più evidente: il discepolo è chiamato a sostituire l'ansia assillante per il suo futuro e per la fine del mondo con un'attenzione intensa e operosa al presente. Tutto si decide in questo nostro tempo, dunque! Ma il racconto dell'assemblea universale della storia offre una chiave e una luce in più: la vita del credente non è un'attesa di qualcosa che finalmente ci sarà dato, ma che adesso non c'è, e ci sarà svelato in un giudizio finale! Al contrario: la fede è il ribaltamento delle alienazioni religiose che la paura del futuro genera nell'uomo e che gli fanno credere che la sua sorte si giocherà alla fine di tutto, in un incubo apocalittico, quando tutto il mondo brucerà. L'incontro con la salvezza (con il Salvatore) avviene invece già adesso, in questa nostra storia ‑ dove e come, né fedeli né infedeli avrebbero mai immaginato, a stare alle parole del Signore.

Il giudizio finale è raccontato per convincerci che non ci sarà… alla fine, ma adesso!

Dunque la decisione definitiva di dannazione o di salvezza di tutti noi … e del mondo intero, non è in qualche misterioso meccanismo o magia o amuleto, ma neanche in formule di fede o nei sacramenti delle religioni, ma nella risposta che Gesù dà alla domanda centrale di chi crede in lui: qual è il senso della sua venuta, ora che non è più tra noi? La risposta è sconvolgente e inaspettata, appunto, per credenti e non credenti: come dire "Ma io sono già sempre in mezzo a voi, e non mi vedete?! Ciò che avete fatto ai miei fratelli più piccoli, è a me che l'avete fatto … La sorpresa di tutti per questa affermazione, è descritta e ripetuta (Signore, quando mai ti abbiamo incontrato?!), perché lo scopo del racconto è proprio di ribadire questa fondamentale verità del vangelo di Gesù: la salvezza (il regno) è qui, in mezzo a noi. Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo – è la garanzia, che chiude il vangelo di Matteo (28,20).Il giudizio finale è dunque raccontato per spiegare che non ci sarà . Lo stiamo facendo adesso! Gli spettatori di questa rappresentazione drammatica devono concludere guardandosi attorno, per scoprire che il grande momento non è da attendere con angoscia per chissà quando, ma che l'incontro con lui (che è il vero giudizio: la sua venuta!) sta già avvenendo nella processione di accoglienze o di rifiuti che abbiamo con i più piccoli, nostri e suoi fratelli, sotto le vesti feriali, sporche, incatenate o abbandonate dei più poveri …

La regalità di Cristo è la regalità dei poveri, e viceversa!

Chi è chiamato a giudicare solennemente in questo simbolico consesso generale dell'umanità è il "Figlio dell'uomo", finalmente intronizzato nella sua gloria suprema (divina!). Questa raffigurazione sublime rende ancora più sorprendente l'esito del dramma: il giudizio non mette per nulla in questione questo Re supremo e l'ossequio a lui o l'osservanza dei suoi precetti morali o religiosi… come c'era da aspettarsi dal Padrone della storia e dell'universo, che finalmente decide di tirare le conclusioni! Ma riguarda i più piccoli dei suoi fratelli, la loro fame e sete, l'accudimento premuroso che noi offriamo loro in ogni bisogno! Dunque, sono loro i nostri giudici, lungo tutto il corso della nostra vita, non alla fine, ma mentre stiamo vivendola (è questo il clou della rappresentazione!). La loro esistenza subumana e degradata ci denuncia e ci giudica. Per poter riparare l'offesa alla regalità divina del Cristo, sono loro che dobbiamo mettere a sedere sul trono della gloria. Dal vangelo noi sappiamo bene che la sua regalità non ha nulla a che fare col potere e col dominio, sappiamo che Lui ha donato tutta la sua vita per servire e non per essere servito. Forse non avevamo ancora colto, però, in modo così' luminoso, che la sua Regalità e Signoria l'ha tutta riversata nei più piccoli. Finché l'ultimo piccolo uomo è abbandonato, incombe su di noi, come una condanna, la deturpazione della "sua" dignità regale. Alcuni esegeti antichi e moderni suggeriscono che dicendo "i suoi fratelli più piccoli" Gesù intenda i discepoli missionari che sono perseguitati e imprigionati per il suo nome. Anche loro di certo! Ma viene ancor più da pensare globalmente agli ultimi di ogni società, a tutti i protagonisti delle "beatitudini", apparentemente travolti e sopraffatti nelle loro attese insoddisfatte e nelle loro sofferenze ‑ benedette da Dio! Perché lui sta dalla loro parte, e sono loro che effettivamente conducono la storia, dandogli direzione e senso!

Di certo rimane il dato che l'amore universale, aperto a tutti gli uomini, al di là di ogni steccato ideologico o religioso, è il fondamento del Vangelo, anzi è il senso della vita di Gesù. Il quale non ha soltanto predicato la sua identificazione di solidarietà morale con i piccoli travolti dalla macina della storia. Non li ha soltanto costituiti giudici simbolici e criterio del cammino di salvezza dell'umanità, ma ha prima vissuto davvero nella sua carne la loro sofferenza e la loro degradazione umana. Il racconto della passione che inizia la pagina seguente, ci mostra il "figlio dell'uomo" come un "Re" tradito e rinnegato, disprezzato, deriso, torturato, assetato, ignudo… senza che nessuno riesca a fermare questo meccanismo diabolico per cui il più innocente degli uomini è travolto dal più perverso dei mali! Finché muore nudo sulla croce, in un urlo di invocazione disperata al Padre. Per implorare che non sia mai più così, per nessun uomo, per quanto piccolo e insignificante! Ma appunto per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome nel quale tutti riconosceranno che la sua regalità è nata non dalla sua provenienza divina, non dal comportamento eccellente, ma dalla fedeltà appassionata all'amore del Padre, che l'ha mandato a identificarsi con i suoi fratelli, fino a patire in tutto la loro sorte.

Bisogna infatti che egli regni, finché non ha posto tutti i nemici sotto i suoi piedi.

Adesso è chiaro che i "nemici" di Gesù, l'ostacolo vero al diffondersi del suo vangelo di amore, sono tutti coloro che si oppongono alla regalità dell'uomo, o hanno "distrazione" che a questo assillo centrale tolgono il primato. Perché il suo regno è un regno di re, a cominciare dai più piccoli meno onorati. Un regno di "re"… in servizio alla regalità reciproca! Ovviamente cominciando da chi, attorno a noi, ha meno prestigio e potere, per avviarlo anche lui alla sua dignità regale. O decidiamo di sottomettere a questo obiettivo ogni altra preoccupazione o istanza, pure importante, "ogni principato e ogni potestà e potenza" … o rischiamo di essere messi dalla parte delle capre! È drammatica la censura che tuttora nella mentalità corrente della gente di chiesa, oscura questo criterio "finale" dell'annuncio evangelico, a favore di troppe preoccupazioni dottrinali, liturgiche, morali, istituzionali, che ci frastornano e ci accecano, togliendo la preminenza ai piccoli che soffrono, lontano o vicino a noi. E così alla fine, abbiamo solo ritagli di tempo per loro, che invece Gesù considera il discrimine determinante della fede come incontro con lui nella storia! E a chi ha inteso che proprio loro devono essere l'impegno fondamentale della fede cristiana e su di loro saremo giudicati, si continua a dire: ma non tocca a te, non è il tuo carisma, c'è chi ci deve pensare…

Ma allora, tolto questo, a noi ‑ su cosa ci giudicherà il Signore?

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