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venerdì 14 novembre 2008

Meglio rischiare la vita che sotterrare la speranza!

Nel cap. 25° il Vangelo secondo Matteo intende raccogliere l'ultimo prezioso insegnamento di Gesù prima della passione. Le tre parabole delle 10 vergini che attendono lo sposo, dei talenti consegnati ai servi e infine, il giudizio universale, con la sorprendente coincidenza di Gesù con i poveri che sono tra noi, hanno in comune una discriminante, che divide gli uomini nella storia: cinque vergini sagge e cinque stolte; due servi operosi e premiati, e uno rinunciatario e punito; le pecore da una parte (i discepoli che accudiscono i fratelli) e le capre dall'altra (chi non serve il fratello nel bisogno). Si tratti dell'olio delle lampade, o dei talenti forniti ad ogni uomo o della dedizione ai poveri, le parabole hanno lo stesso obiettivo, sotto diverse modalità. Ed è questo: arriva per tutti il momento nella vita in cui siamo "costretti" a scegliere, a schierarci, a maturare una fede capace di trasformare "definitivamente" il senso dell'esistenza, come se ognuno fosse messo con le spalle al muro. Gesù stesso sta incamminandosi verso le esperienze finali della sua avventura umana, che sembrano travolgerlo e immergerlo nell'angoscia e insieme nel desiderio di affrontarle: Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora! (Gv 12,27 ).Ecco allora le parabole: nel buio della notte bisogna mantenere gli occhi aperti e il cuore attento per riconoscere il Regno che viene…; l'impegno appassionato moltiplica e dilata il dono di luce e di benevolenza ricevuto…; lo spendersi per i più miseri è sempre un incontro con il Dio presente nell'uomo di carne, anche per chi non lo sa… E se la dinamica pedagogica del racconto comporta che chi non si assume le sue responsabilità sia punito, l'intento non è certamente di terrorizzarci con la minaccia del castigo futuro, ma di convincerci che il presente, affrontato con intelligenza ed amore, dà senso e gioia alla nostra fede.

"Avventurar la vida"… non seppellire la speranza!

La parabola scelta per questa 33a domenica è la seconda, che racconta la storia di un signore che, prima di mettersi in viaggio, distribuisce i suoi beni ai suoi sottoposti, ad ognuno secondo le sue capacità. E poi se ne va, per molto tempo, senza lasciare recapito. I talenti dati in consegna sono la vita stessa, come una promessa, misteriosamente donata ad ognuno, con tutto quello che ci vuole… per diventare noi stessi., cioè viverla! Ognuno ha la sua, diversa da tutti, e solo l'interessato, pur bisognoso di tanti aiuti, può, in definitiva, valorizzarla. I due primi servi lavorano e raddoppiano i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento solo, lo seppellisce, per non perderlo. Proprio il contrario di quanto il vangelo stesso suggerisce: se vuoi salvare la tua vita devi esser pronto al rischio di perderla! Teresa d'Avila, in un tempo quanto mai sfavorevole alla donna, che pretendesse di diventare se stessa, è un esempio luminoso e appassionato di come la vita, secondo questa parabola, deve essere assunta, con l'esplosiva carica affettiva ed esistenziale di un desiderio incontenibile: "tutto si riduce, in sostanza, ad arrischiare la vita, che io tante volte bramerei aver già persa, pur di avventurarmi a guadagnare così tanto con poco prezzo" (V 21,4)

Un Dio diverso!

Perché nasca e cresca questa passione in cuore, occorre cambiare la figura di Dio, che più o meno inconsciamente tutti abbiamo introiettato, come un interlocutore interiore… da incubo (sei un duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso). Talora diventa un'ossessione che finisce per rovinarci la vita (per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra). La radice profonda di ogni religione storica è il tentativo di rimettersi in contatto con il "padrone", che è "emigrato" in un paese lontano (così suggerisce il testo greco!), per contrattare "magicamente" con lui una salvezza in proprio. La paternità di Dio, come si è rivelata in Cristo, è la distruzione del ricatto interno a qualsiasi religione (e interno a noi stessi, come componente tossica del nostro super io e della nostra morale). E finisce per farci vivere una vita disaffezionata e spenta, da servi!. Finché, infatti, non ci consegniamo 'armi e bagagli' al Padre di Gesù Cristo, nutriti della sua parola e del suo pane, siamo preda dei nostri tormenti e delle nostre angosce interiori, che poi inevitabilmente proiettiamo e ritorciamo sugli altri (io non sono come gli altri, omicidi, adulteri…). Mentre orami, in Gesù, la fede o è questione di amicizia o ridiventa idolatrica: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi [Gv 15,15]. Esser amici, però, vuol dire sbilanciarsi rischiosamente e senza riserve verso un nuovo tipo di dinamica interna all'esperienza umana di Gesù, che si fonda sull'amore gratuito, pulito, totalizzante.

Una dinamica vitale nuova: entra nella gioia del tuo Signore!

Dio dunque sorprende i suoi servi, proprio chiamandoli a responsabilità e fiducia totalmente nuove. Neanche vuole indietro i talenti affidati, perché li trasferisce al livello della dinamica dell'amore: che, se corrisposto, raddoppia incessantemente… Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto. L'esito dell'amicizia è la comunione piena e raggiante: entra nella gioia del tuo signore! Questo esito escatologico di una vita di impegno appassionato ci è annunciato per convincerci che già qui, nella nostra storia quotidiana, inizia questa dinamica creativa e profondamente gratificante di poter aiutare Dio, invitati nella sua vita intima, partecipando alla sua gioia di diffondere l'amore e la libertà tra gli uomini. Così si spiega il paradosso di togliere il talento al servo sfiduciato per darlo a chi già ne ha: «Perché a chiunque ha, sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.». Chiunque abbia provato ad amare e appassionarsi alla vicenda umana del fratello che fa fatica a crescere, più che alla propria, sa quanto è vero che l'amore aumenta a donarlo via, e diminuisce e intristisce a difenderlo e trattenerlo per sé… E quanti sono coloro che sono fermi, paralizzati su questo crinale, senza osare tuffarsi!

E quando si dirà: "Pace e sicurezza", allora d'improvviso li colpirà la rovina,

Nel nostro tempo di totale interdipendenza degli uomini e dei popoli – il tempo della globalizzazione ‑ i figli della luce di cui parla Paolo, sono quelli che credono nelle ragioni della speranza, nella possibilità di convivenza tra diversi, nella fecondità dell'incontro tra religioni e razze. I figli della paura e della voglia di sicurezza sono quelli che nascondono la sfida della storia e il rifiuto delle scelte sotto le vesti della tradizione e della religione, ma di fatto difendono poi la sicurezza con i muri divisori e il filo spinato, e alla fine, con la forza delle armi, con il ricatto della fame, con la prepotenza della superiorità della razza o della religione. Ma affrontare i problemi di oggi illudendosi che vadano bene le soluzioni di ieri, è come voler solcare gli oceani con le barche. Non cercare e inventare risposte nuove è come dormire, fare della vita una lunga notte, illudendosi con lo slogan: Pace e sicurezza…, invece di un impegno fervente e generoso. Oggi non ci sono territori preclusi all'intervento umano dai confini sacri, che la religione ha sempre determinato nella storia dell'umanità, opponendosi ad ogni presuntuosa conquista o sconfinamento prometeico. La formazione della coscienza morale è più che mai determinante, in un mondo pluriculturale, che rischia di svuotare e relativizzare ogni tradizione od orientamento etico e religioso. La mutazione antropologica che le strutture di comunicazione commerciali, industriali e politiche hanno prodotto, richiede una nuova consapevolezza, una nuova spiritualità. L'umanità di oggi si trova di fronte a problemi, esigenze e istituzioni universali, ma non c'è ancora la cultura e gli uomini preparati, che sappiano accettare questa sfida. La paura di affrontare il rischio ha spinto anche la chiesa a sotterrare i suoi tesori… Siamo in ritardo rispetto al cammino dello sviluppo umano, della tecnica e della scienza. Questa forte esigenza di spiritualità non è di per sé esigenza di pratica religiosa, che è necessaria, ma non sufficiente. Si esige qualcosa di più: entrare cioè in sintonia con la forza creatrice che ci coinvolge consapevolmente in un atteggiamento nuovo. Siamo come costretti a rileggere questa parabola con prospettive e orizzonti completamente nuovi. Per disseppellire coraggio e speranza!

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