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venerdì 30 ottobre 2009

Una moltitudine innumerevole… e gridavano: la salvezza vien da Dio… e dall’Agnello!

…già fin d’ora siamo figli di Dio!
Vorrei tentare di trovare una risposta a una grave domanda che ci vien posta dal nostro tempo: «È possibile esser santi oggi?» e se sì: «Qual è la forma di santità possibile nel nostro tempo?». Comincio col precisare il concetto di santità e di santo, seguendo, naturalmente, quello che l’esperienza vissuta del Mistero divino può dirci. In tutti i tempi si è sempre ritenuto che Dio potesse compiacersi di qualche mortale, colmarlo di doni e favori speciali, così da separarlo dai suoi simili e da porlo in una situazione più vicina a Lui stesso. Anzi, si finì per ritenere il prescelto come un valido intercessore presso la divinità; si pensi, per rimanere nell’ambito della nostra religiosità, alle figure di Abramo, di Mosè, di Elia.
Questa scelta fatta da Dio nei confronti di un mortale fu chiamata santificazione, e santità la qualità peculiare che lo rendeva differente, separato, in una posizione di privilegio, dai suoi simili. A seconda dei tempi, delle idee religiose, le qualità che rendevano preferito un mortale di fronte alla divinità sono differenti. Uno Sciamano è differente da un Profeta, uno Stregone da un Santo indù; con il raffinarsi dell’intelletto d’amore, del senso morale, il concetto di santità fu individuato nella virtù, nella dedizione all’affermazione dei diritti dello spirito sopra la materia, nello sforzo costante e tenace per esprimere più e meglio l’interiore somiglianza divina, impressa in ogni uomo come un sigillo di predestinazione. Vale a dire: l’uomo deve compiersi in Dio, deve ascendere a Dio per poter assumere fino a Lui la materna materia. La santità è perciò la separazione dalla natura bruta. L’uomo è per sua natura predestinato alla santificazione e alla santità. Lentamente, ma sicuramente, assurgerà ad esse, anche suo malgrado. «La parola di Dio non torna alla sua sorgente senza aver recato i suoi frutti» (Is 55, 10)
[G. Vannucci].

… l’uomo – dunque – deve compiersi in Dio, deve ascendere a Dio per poter assumere fino a Lui la materna materia nella quale è nato e cresce… Che lo sappia o meno, questo è l’anelito che lo preme da dentro, che non lo lascia in pace, che lo spinge a cercare fuori di sé (che non è altrove dall’intimo di sé) ciò che soddisfi il suo desiderio senza confini. Bisogna che si accorga e si convinca attraverso dolorose frustrazioni, che nessuna “materia”, fatta di spazio e di tempo e di energia, nessun oggetto, neanche vivo e umano come lui, può chiudere l’orizzonte della sua fame di essere … perché bramerà sempre altro ancora, e dopo ancora altro, e ancora più compiuto. Una tensione viva e incoercibile sgorga dalle sorgenti profonde dell’uomo di carne e materia e lo affama di trascendenza o di ascesa o di compimento di sé. Alla responsabilità del singolo, ma in comunione intensa e solidale con ogni vivente, Gesù ha annunciato, davanti ad una folla di gente povera e semplice, le sue BEATITUDINI, le linee guida per leggere la santità nella storia, impregnate del lungo cammino biblico, ma inestirpabili dal cuore pur devastato di ogni uomo. Ed ha così sconvolto per sempre ogni schema o modello religioso o filosofico di “santità”! Queste situazioni esistenziali scelte o accolte sono adesso la “santità” nel Regno del Padre, che abita e si respira nella storia. Non sulle vette del pensiero o della ascesi eroica, ma dentro lo spessore pesante dell’umile storia delle faccende e sofferenze quotidiane sta il crinale basso dove si incontrano o si scontrano le scelte operative, le relazioni affettive, religiose, politiche, sociali, educative, professionali … di umilissima qualità divina, proposte da Gesù e inventate e suggerite dal suo Spirito dentro la nostra vita. Riguardano tutti noi fragili e incompiuti … ma sono l’augurio del Padre che ci coinvolge nel suo progetto di pienezza donata, sono le sue congratulazioni per la strada intrapresa, sono la sua empatia per le situazioni di dolore redentore. E dentro di loro che emerge l’invincibile spinta propulsiva del bene (o dell’essere), nel cuore dell’universo, ma soprattutto – data la sua consapevolezza e la sua libertà di unico vero interlocutore di Dio – nel cuore dell’uomo, come benevolenza del Padre, che vuole salvi, cioè “compiuti”, tutti i suoi figli, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Una benevolenza operativa che, nel cammino del tempo, ci preme dal presente al futuro, dal desiderio al compimento, dalla sofferenza alla pienezza della gioia. Da qui provengono le beatitudini! Seme e fermento, dono e conquista, profondamente umane e dono inaccessibile alle sole nostre forze … Le condizioni fertili della vita storica dell’uomo, secondo Gesù, che le ha sperimentate nella sua vita e ne ha fatto la proposta esistenziale per i suoi discepoli, non solo per sé (non è possibile una compiutezza per sé senza amore di relazione), ma per un coinvolgimento di salvezza di tutto il mondo: L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Rom 8,19ss).
… ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato.
Questa attesa di tutto l’universo, che attraverso la redenzione del corpo dell’uomo, spera nella propria liberazione, è dunque scandita dalle Beatitudini. “Santo” (cioè, nel vangelo, discepolo di Gesù!) è colui che si apre ad esse, perché in lui è scoccata la scintilla “divina”, la mozione dello Spirito che animava Gesù, il germe della seconda nascita, il punto impercettibile di contatto con l’assoluto, di cui magari neppure s’accorge, mentre si libera dalla paura di morire, propria della carne, con tutti i suoi residui di egocentrismo competitivo e aggressivo che la natura e la cultura del mondo in cui siamo cresciuti ci ha istillati, come legge universale di difesa armata della propria vita. Seguire Cristo vuol dire tendere ad una giustizia differente da quella della carne e del sangue. Esistono infatti due giustizie: quella della materia (o ‘carne’, direbbe S. Paolo) che è la legge del taglione, sempre comunque la sopraffazione del più forte; e la giustizia del cielo (quella del Padre), che è lo slancio dell’Amore, che reinventa le relazioni dell’uomo nella storia: la via crucis feconda delle beatitudini. Non è una via per specialisti della mistica o dell’ascesi: il regno di Dio è il rovesciamento radicale e quotidiano del mondo in cui viviamo, dover domina il “Principe di questo mondo”, che ne fa il regno del potere omicida di Mammona. Tuffarsi nel primo vuol dire emarginarsi dal secondo, dove il “cittadino” del mondo è invece accolto e applaudito. Non vi è legge, devozione, penitenza, virtù, non vi è miracolo che muti questa dinamica. Il vangelo di Gesù è micidiale per le forme mondane, che quindi reagiscono e si oppongono, come dice l’ultima beatitudine. E, addirittura, la sconfinata libertà che Cristo ci ha donato, il rifiuto di adorare e onorare gli idoli di questo mondo sarà considerata un’ingiuria al buon senso o addirittura all’ordine costituito.
Chi sono costoro… avvolti in veste candida?
Oggi il santo è chiamato alla solitudine del suo interiore laboratorio, ove può sperimentare che la trasfigurazione spirituale del corpo e la corporificazione dello spirito non sono un concetto ma una possibilità. Orgoglio? Più probabilmente coraggio e fedeltà al divino che è in ogni uomo (Vannucci). Le Beatitudini segnano il cammino del laborioso travaglio che ci porta all’assunzione della materia nella dinamica gratuita e creatrice dello Spirito. Raggiungere la santità significa ripartire dalle profondità interiori spesso intricate, ferite e poco conosciute, di ogni uomo e di ogni sua relazione. Perciò la costruzione instancabile di tessuti di fraternità è il necessario complemento della personale ricerca interiore. Lavoro faticoso, non conosciuto da altri che da Dio, lavoro di discesa nei propri personali inferi, perché l’Uomo vero risorga in ognuno. Chi sente l’appello a quell’aggiunta di apertura all’essere che è la santità, deve inoltrarsi per la via della sua personale liberazione, con generosità, senza speranza o desiderio di ricompensa alcuna, se non il dono di poter giungere alla perfetta statura di Cristo: l’Uomo vero. Il premio è il compimento perfetto dell’opera, nella libertà sconfinata e consapevole dei Figli di Dio che, partecipando all’esistenza, se ne sentono indipendenti, che, di fronte a tutte le sollecitazioni di intrupparsi sotto qualche vessillo, rimangono se stessi, liberi da ogni richiamo idolatrico, promotori di una nuova storia che questa nostra che viviamo non riesce a contenere – e durerà per sempre: … chi sono costoro, e da dove vengono?... «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo … Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

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