Pagine

ATTENZIONE!


Ci è stato segnalato che alcuni link audio e/o video sono, come si dice in gergo, “morti”. Se insomma cliccate su un file e trovate che non sia più disponibile, vi preghiamo di segnalarcelo nei commenti al post interessato. Capite bene che ripassare tutto il blog per verificarlo, richiederebbe quel (troppo) tempo che non abbiamo… Se ci tenete quindi a riaverli: collaborate! Da parte nostra cercheremo di renderli di nuovo disponibili al più presto. Promesso! Grazie.

venerdì 2 gennaio 2009

"In principio era il Verbo": la parola che Dio da sempre ha detto sulla storia

Tutte e tre le letture che la Chiesa ci propone in questa seconda domenica dopo Natale contengono in qualche modo un rimando al prima dei tempi: la prima lettura usa infatti l’espressione «prima dei secoli», la seconda «prima della creazione del mondo», e il Vangelo il famoso «in principio».
Il rischio per noi contemporanei è quello di guardare a queste formulazioni con le lenti di ingrandimento deformanti della mentalità filosofica greca da cui siamo plasmati e del modello di pensiero scientifico-tecnicistico ereditato dal moderno. Concretamente, cioè, leggendo questi rimandi “temporali”, corriamo il pericolo di pensare immediatamente ad una spiegazione cronologica di ciò che c’era e di come era prima dell’inizio della storia.In realtà, biblicamente intesi, essi né tentano di ripercorrere la storia all’indietro fino ad arrivare a scioglierne il mistero originante, né tanto meno pretendono di “ficcare il naso” nelle cose di Dio o di chi per lui. Piuttosto questo rimandare ad un tempo altro è il tentativo di rendere ragione del presente; o meglio, di rendere ragione dell’oggi e del suo senso allargando lo sguardo ad un orizzonte ampio, fondante.
In questo senso è interessante notare ciò che le tre letture collocano in questo speciale tempo senza tempo: il Libro del Siracide parla della Sapienza, alla quale fa dire «Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato»; il Prologo del Vangelo di Giovanni, del Verbo, «In principio era il Verbo»; e Paolo, nella Lettera agli Efesini, addirittura di “noi”, «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo».
Come già detto, non sono frasi, queste, da leggere in senso letterale o cronachistico, come se descrivessero la situazione prima dell’inizio della storia. È mitologico quindi immaginarsi un cielo o uno spazio in cui collocare una figura che in qualche modo rappresenti la Sapienza, un’altra (o la stessa) che rappresenti il Verbo e intorno, tutte le nostre animelle – dalla configurazione ectoplasmatica – pronte a essere spedite sulla terra...
Chiunque sarebbe pronto infatti a definire ridicola questa prospettiva; e prova ne è il fatto che ogni volta che si tenta di addentrarsi in tali ragionamenti, per esempio di spiegare queste cose ai bambini, questo tipo di teologare risulta insostenibile: Cosa faceva prima dei secoli la Sapienza, e il Verbo in principio? Perché, se facevano, allora era già iniziata la creazione... E noi come facevamo a essere scelti prima di essere creati?
E di domanda in domanda, le nostre risposte preconfezionate (“Si parla di un tempo senza tempo”, “Eravamo già scelti perché pensati nel pensiero di Dio”, ecc...) e dunque apparentemente sicure, si fanno sempre più incerte, fino a concludersi nelle classiche formule di circostanza che evitano il problema: “In fin dei conti è un mistero”, “Insomma Dio è Dio e noi non possiamo capire”...
L’infecondità di questi ragionamenti e il loro incastrarsi in trappole logiche da cui non si esce non è cosa nuova nella vita della Chiesa. Tanta teologia si è arenata su queste secche, fino a crollare, come un castello matematicamente perfetto (in cui ogni domanda aveva la sua risposta – si pensi al dottrinalismo e alla sua versione pro populo che è il Catechismo di Pio X) eppure senza fondamenta (non a caso sono tutte elucubrazioni mentali che si staccano dalla Parola di Dio e dalla storia, per poi dimenticarle).
Come uscire dunque da questi vicoli ciechi e ritornare a lasciar parlare queste formulazioni che sentiamo così strane, così lontane, così vuote da lasciarci addirittura sordi?
Il discorso sarebbe molto ampio, perché implicherebbe un discorrere su quale ragione, ovvero quale pensiero, quale sguardo è quello adeguato per ragionare, pensare e guardare Dio, l’uomo, la storia. Ma – data l’impossibilità di affrontare qui un così vasto discorso – basti un’annotazione di metodo, decisiva però per il non fraintendimento delle letture odierne: non si possono mischiare e confondere linguaggi diversi!
Un esempio classico – per capire – è quello dell’inferno. Non appena giunge alle nostre orecchio il suono di questa parola immediatamente i rimandi della nostra immaginazione sono di dantesca memoria. E ci vengono in mente le fiammelle, il colore rosso, i supplizi fisici... Prima e dopo Dante infatti la Chiesa ha usato tali immagini per far comprendere ai cristiani (quindi in funzione pedagogica) una realtà teologica, e cioè la possibilità di fallire l’unica destinazione umana pensata per lui da Dio: «essere suoi figli adottivi mediante Gesù Cristo». Il pericolo (ampiamente percorso) è stato però quello di confondere piani e linguaggi, per cui nessuno (o pochi) sentendo la parola inferno pensano alla lontananza ontologica (e non sentimentale) da Dio, ma alle fiammelle e al diavolo con forcone... E per converso – che è anche peggio – nessuno (o pochi) hanno potuto cogliere che il parlare dell’inferno è solo per far risaltare la pienezza e la bellezza della vita! Abitualmente invece si pensa che – dato che dicono che c’è l’inferno – è meglio contenersi un po’ e rinunciare a qualcosa di intrigantemente malvagio, per un bene superiore... mis-comprendendo in questo modo il messaggio evangelico, che al contrario di noi non pensa che il male sia più bello, ma per guadagnare il paradiso è meglio farne un uso modesto... bensì che il bene, l’amore, l’umanizzazione dell’uomo è la pienezza della Vita. Il male va evitato perché fa male a noi (oltre che agli altri) e per nessun altro motivo!
Ma tant’è... E in proposito non si può nascondere il fatto che la Tradizione della Chiesa forse sia un po’ colpevole nel non aver saputo sempre mantenere con chiarezza la distinzione dei linguaggi e aver alimentato queste errate visioni.
Tornando a noi... Quanto detto sulla confusione dei linguaggi e sulla funzione pedagogica di alcuni di essi, non vuol dire che i testi biblici dicano una cosa e ne intendano un’altra, che noi dobbiamo scoprire: non siamo certo sostenitori dell’interpretazione allegorica! Solo che tutte le espressioni bibliche che da secoli la Chiesa tenta di far cogliere con un linguaggio mitologico, immaginifico, descrittivo (cfr l’esempio dell’inferno), rischiano di confondersi poi con le immagini stesse: perciò dire «prima dei secoli», immediatamente ci rimanda a considerare la storia come un blocco prima del quale c’era qualcosa, lì, un po’ fluttuante nei cieli (che è un’altra immagine perché non erano ancora stati creati!), e questo qualcosa era la Sapienza, che abitualmente ha le sembianze di una donna (ma le donne – e neanche gli uomini c’erano) e poi il Verbo (“che chissà cosa c’entra con Gesù?!? – ci vien da pensare – Non s’è mai ben capito”) e poi noi (ma nel pensiero di Dio...).
In realtà lo sforzo deve essere quello di far parlare i testi, di farli parlare a partire dal loro contesto culturale, dalla filosofia – o detto più semplicemente – dall’orizzonte di senso, dalla forma mentis di chi scriveva, perché come dice Dei Verbum 12 “Parola di Dio” non è quello che ci colpisce, quello che capiamo noi, o le immagini che usiamo per far capire gli altri, ma l’intenzione dell’autore («Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole»).
Veniamo dunque alle nostre tre letture: il tentativo – come anticipato prima – è di rendere ragione dell’oggi, non di spiegare l’altro ieri. Le formule «Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato», «In principio era il Verbo», «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo» non sono dunque indicatori cronologici, bensì esistenziali: indicano lo sguardo che Dio da sempre getta sui secoli, sulla storia, sulla creazione.
Far dire perciò alla Sapienza «Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato», indica che il mondo e ultimamente noi (l’unico mondo di cui ci interessa veramente) non è frutto del caso, né tanto meno di un genio maligno, ma di un piano sapiente, di un pensiero amante di Dio, di cui Paolo dice bene il senso «essere santi e immacolati di fronte a lui nell’amore»! Non «essere santi e immacolati», dunque senza peccati (come li intendiamo noi), pii e aridi come spesso pensiamo i santi (che in realtà sono stati sempre uomini dalle grandi passioni!). Bensì «santi e immacolati nell’amore»! E nessuno può pensare una vita più bella di questa... Solo che noi abbiamo smesso di crederci, sull’onda delle tenebre che avvolgono il nostro cuore, delle sofferenze che devastano l’umanità, dei dolori che rendono tragico questo nostro vivere...
Ma il Prologo di Giovanni invece è lì proprio a ribadire, anzi a dire definitivamente e senza possibilità di fare passi indietro, che la Parola (il Verbo) di Dio sulla storia da sempre – paradossalmente da prima che la storia fosse storia – è vita e luce che splende nelle tenebre! E tutto è stato fatto così; addirittura: niente di tutto ciò che esiste è senza questa luce e questa vita! E a quanti accolgono questa verità della storia è dato di accorgersi che non c’è vita più bella che rimanere «santi e immacolati nell’amore» anche dentro le tenebre!
Ecco la Parola definitiva di Dio, tanto da essere detta «in principio», «prima dei secoli», «prima della creazione del mondo»: che l’uomo è veramente Uomo quando ama, quando guarda all’altro come a un fratello, quando se ne prende cura, quando continuamente crea spazio dentro di sé per farci stare l’altro, e poi l’altro, e poi l’altro... Tutto il resto è illusione, che non nutre, ma svuota... Il segreto è crederci... nonostante faccia paura, perché amare è sempre rendersi feribili, mangiabili, violabili. Ma il male del mondo si cura solo così: assumendo il male su di sé, senza rigettarlo sugli altri. Chi crede questo è figlio di Dio, è nella sua logica, pensa il mondo come da sempre l’ha pensato Dio: non a caso così è stata la vita di Gesù!

1 commento:

Danila ha detto...

Vorrei conoscere il vero nome di Chia. La sua chiarificazione sulle Scritture odierne è pregnante. Davvero è doveroso e giusto spiegare come vanno letti i testi Sacri, sfoltendoli da tutte quelle costruzioni immaginarie, leggendarie ed incredibili che la Chiesa ha portato avanti per anni, pensando che il popolino non avrebbe compreso una spiegazione diversa. Ed è la conclusione che irrompe come un fiume in piena, quella che l'uomo privo di capacità d'amore, vive un vuoto esistenziale incolmabile.Un vero inferno, dunque! E solo il Signore è vero Maestro d'Amore.

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

I più letti in assoluto

Relax con Bubble Shooter

Altri? qui

Countries

Flag Counter