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domenica 8 marzo 2009

Come il Padre, figli oltre ogni limite…

Oltre ogni limite
Fa veramente impressione leggere le prime parole che Dio rivolge ad Abramo nel brano di oggi
Se uno non conoscesse la storia precedente e non sapesse chi fosse Abramo non riuscirebbe a coglierne la violenza… Ma noi sappiamo chi era Abramo e chi era Isacco! Noi sappiamo che Isacco era il figlio donato da Dio a dei vecchi a cui l’età aveva tolto ogni speranza di un futuro storico: la morte li avrebbe oramai riportati nell’oblio del tempo, marchiati col ferro rovente di una sterilità esistenziale…
Ma ecco che inaspettati, gratuiti, arrivano i messaggeri di Dio, che ridanno speranza, ridanno vita a delle carni avvizzite… E nasce Isacco, il figlio della promessa e la vita ritorna a sorridere (etimologia di Isacco) anche a chi non ha più denti per poterlo fare con spavalderia…
E allora quanti figli aveva Abramo? Non era necessario essere un dio per saperlo: quanti poteva averne colui che non ne aveva mai avuti? Uno! Ed è già troppo! Forse che Dio non lo sapesse? Ma no! lo sapeva benissimo glielo ha dato lui! E allora che senso ha porre in tal modo un ordine già di per sé disumano? Ma che Dio è un Dio che sembra girare il coltello nella piaga?… Peggio di un avvoltoio che gira intorno alla preda prima di infliggerle il colpo finale, peggio di un gatto che gioca col topo… Dicesse: «Prendi tuo figlio e offrilo in olocausto»!… che già così è “roba da matti”, ma no! Non gli basta e dice “prendi tuo figlio l’unigenito”… e quanti figli aveva Abramo per dover specificare “l’unigenito”? Non contento aggiunge “che ami”… Roba da «padrone» più che da «padre»! A questo punto esplode con tutta la violenza dirompente come un “colpo di grazia” che uccide un nemico già ridotto a brandelli: «Isacco»! Già! ne aveva così tanti di figli Abramo che rischiava di fare confusione...
Umanamente parlando la frase per intero è di una perfidia inaudita: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Come diceva quel film? Dio… «Tu uccidi un uomo morto!»…

Perché tanto accanimento, perché tanta crudeltà? se non fosse Dio a parlare sembrerebbero parole dell’antico serpente… Il serpente già… questo ci rimanda a quello che meditavamo domenica scorsa sulla tentazione… sullo Spirito che butta Gesù nel deserto, tra le braccia di Satana… Come un padre che volendo insegnare al figlio a nuotare lo butta in acqua: o annega o impara a nuotare… o lotta o soccombe! Ek-ballei, dicevamo, è il termine usato per indicare l’azione dello Spirito… “gettare oltre, al di là” del limite… parola imparentata con syn-ballo (simbolo, sacramentum) e con dia-ballo (diavolo)… Simbolo che unisce, diavolo che separa, Satana che accusa, Spirito che ci difende ma “gettandoci oltre”… oltre sé, oltre il proprio limite, oltre i propri spazi, oltre la propria cultura, oltre il proprio corpo, oltre la propria vita, oltre la propria ragione, oltre i propri affetti, oltre i propri difetti… Come il Logos eterno che in Gv 1,1 si getta oltre sé (pròs…), tra le braccia del Padre (…tòn theón)… Lo Spirito “spinge fuori”, come una madre che deve “spingere” per espellere il figlio se vuole farlo nascere, separandolo da sé, separandoci da lei… C’è qualcosa di più violento e di più “cinico” di un parto? Per la madre e per il figlio? Solo la morte gli è paragonabile, infatti è un altro parto…

Ecco come si fa un figlio… devi “gettarlo fuori”, dopo averlo “conservato dentro”… Ecco perché Gesù dice che chi non odia suo padre e sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle i suoi figli e le sue figlie, i suoi averi e persino la propria vita… non può essere suo discepolo (cf Lc 14,26): perché altrimenti non può nascere, nascere come figlio, figlio come lui…

La speranza è il cammino dell’amore! La speranza è ciò che ci consente di camminare nella storia, superandoci continuamente… il rischio per noi uomini è quello di confondere la speranza con il suo “segno”, la promessa col dono, l’alleato con l’alleanza!
Tentati di non essere figli, tentati di non essere padri per rinchiuderci nel dono… tentati di non vivere e di ritornare alle sicurezze di un ventre materno, caldo e accogliente, senza neanche la fatica di doverci procurare il cibo… ma moriremmo avvizziti dentro la pancia di chi ci ha generati! Chissà, forse in realtà il “paradiso terrestre” descritto nella bibbia è la teatralizzazione (le acque, il cibo…) di come ci si trova(va) nella pancia di nostra madre… e da cui siamo stati forzati a uscire, “sentendoci” cacciati! E col divieto di rientrarci!
E allora Dio, per salvarci da morte certa, ci “forza a nascere” (letteralmente è l’espressione usata da Paolo in 1Cor 15,8 per parlare della propria conversione: ek-trómati): ci “spinge” fuori! Sempre, continuamente, oltre.

Proclamiamo nel “Credo” che il Figlio, il Verbo eterno del Padre, è “generato e non creato”… un bel concetto dinamico questo “generato”… chissà allora cosa ci ha portato a concepire la creazione come qualcosa di statico… Noi siamo creati da Dio, ma non per questo siamo stati creati “ieri”… Dio ci crea e ricrea continuamente… come? gettandoci oltre… La vita è un parto continuo (sempre Paolo in Rm 8,22)… Dio non mi ha creato, Dio mi sta creando… L’uomo si fa nella storia e si fa gettandosi oltre, lasciandosi gettare oltre… Questo è il movimento della speranza… Che tanto ottiene da Dio quanto in lui si abbandona (cf San Giovanni della Croce, “…tanto alcanza de él cuanto ella de él espera.”, NO II,21,8)…

Nascere è Esodo, Passaggio continuo. È lasciare quello che si conosce, per andare verso quello che non si conosce, che è come dire che si cresce lasciando la luce per andare verso l’oscurità… E del buio si ha sempre più paura… ecco allora la Parola, come luce e lampada ai nostri passi (cf Gv 1,9; Sal 119(118),105 e luce)… passi che conducono nei cammini bui della storia, per strade e sentieri stretti che non si conoscono perché del Padre!… come Gesù che se da un lato è l’unico che conosce il Padre (Mt 11,27), dall’altro sembra che gli manchi ancora qualcosa da conoscere (Mt 24,36)… E qualcosa gli resterà sempre… Per questo la speranza come l’amore è eterna, non solo perché l’amore tutto spera (1Cor 13,7), ma perché il Figlio sia tale e non si sostituisca al Padre è necessario che si “attenda” dal Padre: per questo lo Spirito intercede, geme, langue, invoca, ama e spera (cf Rm 8,26ss)… Ecco perché ci è nascosta anche l’ora della morte... ci ucciderebbe come figli il saperlo!

In fondo è la stessa esperienza degli apostoli sul monte. Dopo la luce della visione… il giorno sarà apparso più buio… ma fermarsi alla visione — «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne» (Mc 9,5) — vorrebbe dire uccidere la vita… E “costruire capanne” è il movimento contrario all’Esodo: ma perché la vita viva, deve andare oltre, attraversare il Mar Rosso, incontrare il buio della croce. Dell’assurda, ingiusta, stolta, disumana, diabolica, croce… per ritrovare in pienezza la ragionevole, giusta, saggia, umana, divina, vita! Così l’uomo si crea!

Ecco perché il Padre «non ha risparmiato il proprio Figlio» (Rm 8,32) e non ne risparmia mai nessuno! Diversamente dalle nostre madri così iperprotettive da uccidere il figlio e uccidersi come donne. Ma questo e solo questo è amare veramente, e rivela il nuovo volto dell’Amore! E il nuovo modo di dirsi padri, madri, figli, mogli, mariti, fratelli e sorelle!



«Ma intanto ora Dio tentava Abrahamo, e gli dice: Prendi il tuo figlio carissimo, che ami (Gen 22,1-2); non gli era bastato aver detto figlio, ma aggiunge anche carissimo; sia pure, ma perché aggiunge ancora: che ami? Considera la gravità della tentazione: mediante questi dolci e cari nomi, di nuovo e più volte ripetuti, sono eccitati i sentimenti del padre, affinché, essendo ben desta la memoria dell’amore, la destra del padre sia trattenuta nell'immolare il figlio, e tutta la milizia della carne faccia lotta contro la fede dell’anima. Prendi, dice dunque, il tuo figlio carissimo, che ami, Isacco; sia pure, Signore, che tu ricordi il figlio al padre; aggiungi anche carissimo di colui che comandi di uccidere; basti questo al supplizio del padre; di nuovo aggiungi anche che ami; pure in questo siano triplicati i supplizi del padre; ma che bisogno c'è ancora che tu ricordi anche Isacco? Forse che Abrahamo non sapeva che quel suo figlio carissimo, colui che egli amava, si chiamava Isacco? Ma perché si aggiunge ciò a questo punto? Perché Abrahamo si ricordasse che gli avevi detto: In Isacco si chiamerà per te la discendenza, e in Isacco saranno per te le promesse. Viene anche ricordato il nome, affinché subentri la disperazione nei confronti delle promesse che erano state fatte in questo nome» (Origene, Omelie sulla Genesi, VIII,2)

4 commenti:

'ntonia ha detto...

La tua analisi sul "famoso" brano biblico di Abramo ed Isacco è lucida e forte, Mario. Non ci possiamo nascondere dietro noi stessi, i nostri agi, i nostri affetti, le nostre sicurezze ..... ma è VIVERE E SPERARE con lo sguardo del Padre. Il Vangelo è continuo movimento, emigrare da se stessi... Gli unici momenti "fermi" sono i momenti di preghiera di Gesù, di dialogo con il Padre. Qualche volta si è stanchi, si è confusi, il cuore invia messaggi non equilibrati ed allora penso che sia necessario fermarsi ad ascoltare.
Grazie comunque

cris Cam ha detto...

Grazie Mario un commento bellisimo , che ci permette di andare oltre la nostra comoda mediocrità, e ci apre orizzonti nuovi forse sconcertanti, ma sicuramente carichi di speranza e di vita.

Cipo ha detto...

Sono impressionata.
Ho bisogno di un paio di giorni per leggermi tutto un po' per volta.

Mario ha detto...

Grazie a tutte voi... Consiglio di leggervi prima il post precedente a cui rimando... per capire meglio questo... che in fondo ne è lo sviluppo ulteriore... Ma certo entrambi non sono di comprensione immediata anche perché come giustamente faceva osservare cris Cam aprono orizzonti imprevedibili per un modo nuovo di vivere il proprio cammino di fede superando una concezione della religione come ricerca di sicurezze moralistiche e consolatorie cf il cuore inquieto di Sant'Agostino...

Di più non oso dire... perché il resto deve nascere dallo sviluppo della relazione personale di ciascuno/a col "ventre" Paterno...

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