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venerdì 20 marzo 2009

Gli occhi di Dio

Racconta Simpliciano in Minima episcopalia che, promosso vescovo del minuscolo resto della mitica Atlantide, al fine di esiliare ai confini del mondo la sua libertà di parola, prese a celebrare le Sante funzioni faccia a faccia col popolo dei pescatori nella lingua del luogo, invece che rivolto all’abside cieca della rocciosa cappella nell’algido latino della romana liturgia.
Fu allora, prosegue, che, avendogli il papa, Benedictus vattelapesca, intimato, sotto minaccia di scomunica, di officiare i riti nella lingua del clero con le spalle ad rusticos e il viso al Santo dei Santi, così rispose: «Mai pregherò Dio (Numquam orabo Deum) in una lingua che né Lui, né i suoi profeti, né il suo divin Figliolo, né il mio popolo, mai hanno parlato, e forse capito. Né mai mi rivolgerò a Lui, guardando il Suo divin Posteriore (divinissima terga Eius conspiciens), quando Lui stesso ci ha insegnato che solo a quello possiamo direttamente aspirare, mentre se vogliamo stare con Lui facies ad Faciem dobbiamo cercare il Suo volto nel volto degli ultimi. Sta scritto, infatti: nessuno può pretendere di rivolgere lo sguardo a Dio se non cercandolo per speculum negli occhi dei suoi poveri e nel viso umile delle peccatrici (Nemo potest Deum conspicere nisi per speculum in oculis pauperum Eius et in humilitate meretricium vulti). Se proprio vuoi, gira tu le spalle al popolo della chiesa, che tanto disprezzi, ma sappi che così Dio rivolgerà a te le spalle con terribili e incomprensibili parole, in dies irae et supernae salutis, nell’ora dell’ira e della suprema salvezza»
a. v. m. in il foglio” - n. 359, Torino, febbraio 2009

11 commenti:

Danila ha detto...

Simpliciano era già avanti coi tempi! Invece oggi si fanno passi da gambero, si torna alla celebrazione in lingua latina e a voltare le terga al popolo di Dio. Alcuni sacerdoti seguono questa prassi, sostenendo di non aderire completamente al Concilio Vaticano II! Personalmente sono stata felice quando hanno abolito la lingua latina dalla liturgia: finalmente avrei potuto seguire con più attenzione e meno sbadigli il rito e le preghiere liturgiche. Come ho gradito vedere in volto il Celebrante, assistere ai vari momenti della celebrazione, vedendo i gesti dello stesso. Si sente la Comunione, e non la distanza, ci si sente partecipi, e non spettatori.
Come si può tornare indietro, regredendo? Simpliciano aveva compreso già allora l'importanza di questo passo, che la liturgia ha tardato a compiere.

marcopino ha detto...

Cara danila, forse mi sbaglio...ma il tono del post non mi sembra a carattere storico: se si fa riferimento a san simpliciano, fu vescovo di Milano e successore di Ambrogio, nè si ricorda un'opera intitolata "Minima episcopalia"...ugualmente, nel periodo del suo episcopato si succedono vari papi, ma nessuno di nome Benedetto... Il testo mi pare avere carattere ironico sulle attuali scelte del papa in materia liturgica, prendendo in giro certa tendenza alla facile citazione storica, magari in latinorum :P

Danila ha detto...

Caro Marcopino, io mi sono rifatta a quanto ha riportato Mario. In ogni caso, allegorico o no, il post esprime chiaramente una critica per coloro che vogliono tornare alla vecchia liturgia, che tende a mettere le distanze tra il celebrante ed il popolo di Dio. E se anche fosse in latino maccheronico, condivido il pensiero di chi l'ha scritto e, ovviamente, di chi l'ha postato!

Mario ha detto...

@marcopino: non sbagli! ;o)

@Danila: il post è di Edo... ;o)

Cipo ha detto...

Carissimi Danila, marcopino, Edo, a me il post non ha comunicato né un'informazione storica, né un messaggio ironico (anche, ma in un secondo momento). Mi ha invece fortemente trasmesso un messaggio di misericordia, ma ovviamente è una interpretazione fatta con i miei occhi.
Buona giornata a tutti.

Mario ha detto...

Uno spasso quel "...Né mai mi rivolgerò a Lui, guardando il Suo divin Posteriore...)"!
La prospettiva "latinista" che confina con la latinolatria ha in sé il verme (che è un piccolo serpentello di biblica memoria) dell'eresia cristologica che nega l'incarnazione del verbo, "ragione" stessa di ogni necessaria e limitante inculturazione! La pretesa che possa esistere una lingua o un rito (compreso l'attuale!) che possa dire "meglio" Dio è un'altra follia sul quale Cristo stesso è stato spietatamente immolato.
L'unica validità di un rito sta nel suo essere "significativo" per colui/colei che lo vive!
Se i riti "di ieri" diventano più significativi di quelli "di oggi" allora il problema è psicanalitico non più liturgico!

Danila ha detto...

Ho confuso il nome di chi ha postato! Riconfermo il mio pensiero: la Messa attuale aiuta a capire meglio le letture e le preghiere a chi il latino non l'ha studiato! Interloquire col celebrante è partecipare attivamente alla stessa. E' ovvio poi che il rapporto con Cristo Signore non dipenda esclusivamente da come una Eucaristia venga celebrata, ma da quanto un credente possa "sentire" che lì, e non altrove, si rinnova la Pasqua del Signore; che lì, e non altrove, si fa Comunione con Lui e con il prossimo. Da lì si parte per vivere quotidianamente la Parola, e allora....ovunque Cristo è con noi!!! ciao a tutti!!! :o)

Cipo ha detto...

@Danila
Se per "sentire" intendi "percepire" non condivido il tuo pensiero; altro è se intendi dire "credere", altro ancora se volevi dire "partecipare".
A volte le parole possono esprimere ambiguità quando non è possibile integrarle con la comunicazione non verbale.
Ciao

Danila ha detto...

@Cipo: hai ragione! le parole possono essere fraintese. Allora mi spiego meglio: "sentire", in questo contesto, per me significa essere totalmente coinvolti: Ricordi lo shemà Israel? Ama il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta l'anima. Questo intendo dire con "sentire"! Che non è "percepire" (sarebbe troppo superficiale), che non è "partecipare",( sarebbe troppo mondano), è invece "credere", e ancor di più: sentirsi fusi in Dio e strettamente legati ai fratelli (prossimo). Sai, Cipo, a volte è difficile esprimere ciò che ci ruba il cuore, che ce lo fa battere forte, ed allora io uso il termine "sentire", perchè questo comporta: udire con le orecchie: (la Parola, i canti), gustare con il palato (l'Eucaristia), stringere il fratello (lo scambio della pace),pregare, cioè dialogare con Dio (e rientra la vocalità), cioè tutto quanto possa contribuire, nella nostra corporeità, spiritualità e sensibilità, ad un totale abbandono alla Sua presenza. Meglio non riesco a spiegarmi, perdona la mia incapacità di trovare le espressioni più appropriate!

Cipo ha detto...

Anche il mio precedente commento dovevo, allora, svolgerlo più ampiamente.
Siccome è difficile che alla messa mi senta fusa in Dio e ad ogni altro fratello, ho solo un modo per "partecipare" all'Eucaristia ed è quello di provare a lasciarmi mangiare con Cristo tra le mura della chiesa, facendomi presente al mistero che viene celebrato, e di lasciare che Cristo venga mangiato attraverso di me fuori di lì.

Danila ha detto...

Bella immagine quella di lasciarsi mangiare con Cristo, per poi permettere che Cristo venga mangiato da te...e lasciamelo riconfermare, non solo dentro, ma proprio fuori dalle mura della Chiesa. Infatti, usando un termine latino della "vecchia" Messa: "Ite, Missa est", non significa più, come un tempo si intendeva: andate, la Messa è finita, ma invece l'esatto contrario: "andate, è la Messa, ora, qui, nel presente continuo di una vita che si cerca di viverla alla presenza di Dio, come Elia. La nostra stessa vita di cristiani è una celebrazione. Con tutta la fatica del vivere quotidiano!
Un abbraccio. Danila

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