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venerdì 6 marzo 2009

La fede sconfinata: al di là della fede?

…i brani prescelti per la II domenica di quaresima (anno B) toccano i nodi fondamentali dell’avventura del credente, a partire dal Patriarca stesso della fede nodi, che sono anche le Trasfigurazione - Beato Angelicodomande di senso dell’uomo sulla terra. Credente o non credente, la cultura occidentale, in qualche modo globalmente invasiva di tutte le culture, è segnata indelebilmente dal dramma della fede, o della fuga al di là della fede… E la ragione critica, illusa per una breve stagione, di aver avuto “ragione” di ogni fede, ci ha riportati tragicamente, dalle follie del 20° secolo, a pensare che forse ‘solo un dio ci può salvare’. Ogni tentativo dei nuovi strumenti di antropologia culturale di comprendere e contestualizzare il cuore della religione, che è il sacrificio, come fatale tributo che lega l’uomo all’Assoluto, non fa che riportarci dentro il dramma eterno di Abramo, straziato dal volere divino, che gli fa uccidere il figlio, proprio il frutto della sua fede! Il male del mondo (la sofferenza e la morte) genera nell’uomo il bisogno di una fede che ne renda accettabile l’assurdità, come volere insindacabile di Dio. Ma così si sposta soltanto l’assurdo (il male) all’interno di Dio…
Insuperabile Kierkegaard
(vedi sotto), a riprodurre idealmente questo dramma, come ne è contagiato l’Abramo moderno, consapevole o meno..



Un cibo più forte, appunto! Per essere svezzati dalla tentazione religiosa di proiettare il nostro problema in Dio oppure sprofondare nel vuoto del mondo, ma imparare invece a camminare sul crinale vertiginoso tracciato da Gesù per i suoi discepoli, di essere nel mondo senza essere del mondo! Per questo… Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. E fu trasfigurato di fronte a loro. Sono portati fuori dal cantiere culturale, sugli alti monti, anche loro, in qualche modo più esposti… a Dio. Lì convergono i due vertici del tentativo unico di vivere storicamente la fede, che è la lunga vicenda di Israele: c’è Mosè, il promotore della liberazione e organizzazione istituzionale del popolo, dall’Egitto al Sinai, che non vedrà mai il suo traguardo, la Terra Promessa, sempre lontana e irraggiungibile. E c’è Elia, il profeta indomito sempre sulla breccia, contro ogni oppressione idolatrica, ridotto ormai solo, deluso e disperato, a preferire la morte di inedia nel deserto, ma spinto invece a ritroso sull’Oreb, a riscoprire un’altra presenza di Dio, silenziosa, “sottile” o svuotata, disomogenea ad ogni potenza cosmologica o antropologica… Gesù assume queste esperienze, si confronta con loro, matura la sua decisione di incamminarsi definitivamente verso il suo “esodo”, la passione che lo aspettava a Gerusalemme. Perché questa è la chiave d’interpretazione del senso della sua vita e di tutta la Scrittura. Questa è la risposta alla domanda di fondo del vangelo : chi è Gesù? Pietro aveva intuito qualcosa del mistero “divino” del suo Maestro, ma ancora dentro la logica del potere mondano. Un unico modo c’è per capire davvero chi è Gesù, seguirlo! Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Gesù non propone un nuovo insegnamento morale che prepara una nuova religione: la buona notizia è la sua vita, il suo lucido destino di amore, di dono di sé, e lo spiega: … cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso. Perciò si scontra con Pietro, che ragiona “umanante” e non vuole il cibo più forte! (8,31ss).
L’esperienza di fede di Gesù è il ribaltamento della concezione religiosa connaturale all’uomo. Abramo è provocato a superare l’idea di un Dio geloso, divoratore dell’uomo e dei suoi beni (specchio della violenza sacrificale che sta nelle fondamenta insanguinate della società!). E scopre un Dio benefico, che non vuole il sacrificio dell’uomo ma che viva felice sulla terra, affinché la sua benevolenza si estenda in lui a tutte le genti. Ma poi, sceso dal monte, le tensioni e i conflitti, la competizione per i pascoli e le guerre per l’acqua … sono come prima… In questo dilemma senza uscita Gesù si immerge. E vive nella sua carne l’avventura del passaggio sconvolgente da un dio che, siccome è più grande di te e tu sei piccolo, esige che gli sacrifichi tutto, (compreso Isacco, cioè il tuo futuro), ad un Dio che proprio perché sei troppo piccolo di fronte a lui, viene lui a farsi piccolo come te, per servirti come fratello e come amico: il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (10,45)Questo è il nuovo sacrificio che sostituirà per sempre ogni altro! Ove la novità assoluta è appunto questa: la vittima non è un altro da sacrificare per far piacere a Dio, ma il dono di sé stessi per amore: Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà (8,34)
La trasfigurazione ha uno scopo ben preciso nel racconto dei tre vangeli che la considerano così importante: imprimere nella memoria dei discepoli disorientati il senso profondo e nascosto di questo drammatico scontro con il male del mondo di cui Gesù sarà protagonista. Solo dopo la risurrezione (dopo il misterioso ritrovare, lui per primo, la vita “persa”, quando farà loro toccare con mano le sue piaghe gloriose) solo dopo, i discepoli ricordano, capiscono e riescono a parlare di questo paradossale evento sull’alto monte, in cui convergono dolore e gioia, splendore e umiliazione, la voce appassionata del Padre sul figlio amato e il silenzio dell’abbandono disperato sulla croce… Adesso stanno solo cominciando a capire che Gesù è il Messia. Ma sentendolo dire che la sua strada conduce alla croce, vanno in confusione. Il lievito dei farisei e di Erode è ancora dentro di loro, per cui non possono capire che solo la croce nasconde la gloria. Ogni altra vittoria è satanica, perché comporta la violenza. Per questo hanno bisogno di un’esperienza anticipatrice, seppure fugace e provvisoria: hanno bisogno che il velo si sollevi un istante, per contemplare la gloria del Figlio. Purtroppo nessuna emozione contemplativa, di sua natura un po’ fascinosa e trasognata, serve a dare la forza della fedeltà, ma è necessaria lo stesso, per ritrovare poi l’umiltà, dopo che si è tradito o rinnegato nel ricordo dell’amore che ci si era donato. Al momento è meglio non parlarne neanche, finché non si hanno sulla pelle i segni del nostro personale coinvolgimento nella sua passione. La Trasfigurazione non è il segno – né per Gesù né per i discepoli – che la via della croce è terminata. È lo svelamento del suo significato nascosto,
La trasfigurazione è necessaria per accettare la sfida della storia, ma la aggancia alla manifestazione del mistero di Dio rivelato in Gesù, contro ogni previsione umana. Non esime dai problemi della vita di tutti, dentro la condizione comune degli uomini, ma segna piuttosto il rifiuto di Gesù delle tende privilegiate o riservate che i discepoli riprendono sempre a ricostruirsi, spingendoli invece a discendere dal monte e rituffarsi nella nebbia della terra. Questo sprofondarsi della fede nella condizione umana è la caratteristica del vangelo… a costo di lasciarci, come gli apostoli allora, senza parole, perché non abbiamo soluzioni più degli altri. A costo di non riuscire neanche a capire, da quaggiù, cosa significhi la gloria futura. Ma non è importante, anzi è pericoloso il cristiano che crede di saperne di più! importante è continuare a credere che il modo di rivelarsi di Dio nella storia è questo: scesi dal monte non videro nessun altro, fuorché Gesù solo, in cammino verso l’avventura ignominiosa che lo aspetta: rifiutato, deriso, abbandonato, crocifisso tra due delinquenti. Questa ‘sfigurazione’ è la vera manifestazione dell’impotenza di Dio nel mondo, la cui autenticità è garantita proprio nella trasfigurazione: ascoltatelo! Dio nella storia è Gesù appeso alla croce, per amore! Gli altri “assoluti” nascondono un idolo vorace… Bisogna pulirsi gli occhi per vederlo, per ritrovare il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe… Bisogna ripulirsi il cuore da ogni altra immagine di Dio, e non vedere più nessuno, se non Gesù solo. E se ci prende lo smarrimento, l’esperienza di Paolo ci conforta: Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?





Non c’è “al di là” della fede!


[… variazioni della parabola abramitica]

“Dio tentò Abramo e gli disse: Prendi Isacco, il tuo unico figlio che tu ami, e va alla terra di Moria e sacrificalo ivi in olocausto sul monte che io ti mostrerò! (Caravaggio, Sacrificio di IsaccoGn 22,1ss).
Era di prima mattina, Abramo si alzò per tempo, fece sellare gli asini, lasciò la sua tenda e prese Isacco con sé; dalla finestra Sara li seguì con lo sguardo, che si inoltravano nella valle, finché non li perdette di vista. Camminarono tre giorni senz’aprire bocca , la mattina del quarto giorno Abramo non disse parola, ma alzando gli occhi vide in lontananza il monte Moira. Rimandò indietro i servi, e solo, tenendo Isacco per mano, salì il monte: Ma Abramo diceva a se stesso: “Non posso nascondere a Isacco dove porta questo cammino” Si fermò, pose la sua mano sul capo di Isacco in segno di benedizione e Isacco si inchinò per riceverla. Il volto di Abramo era soffuso di paternità, il suo viso mite, il suo discorso incoraggiante. Ma Isacco non riuscì a capirlo. La sua anima non poteva elevarsi; egli abbracciò le ginocchia di Abramo, si gettò ai suoi piedi, supplicò per la sua giovane vita, per le sue belle speranze, ricordò la gioia della casa di Abramo, ricordò la tristezza e la solitudine. Allora Abramo rialzò il ragazzo, e prendendolo per mano si rimise in cammino, le sue parole riboccavano di consolazione e di esortazione. Abramo salì il Moria, ma Isacco non lo comprese. Abramo voltò da lui per un momento lo sguardo, ma quando Isacco rivide il volto di Abramo, esso era mutato: il suo sguardo era selvaggio, la sua figura un orrore. Prese Isacco per lo stomaco, lo gettò a terra dicendogli: “Schiocchino, credi tu che io sia tuo Padre? Io sono un idolatra: Credi tu che questo sia un ordine di Dio? No, è un mio capriccio”. Isacco trasalì e gridava nella sua angoscia: “Dio del cielo, abbi pietà di me; ma se io non ho un padre sulla terra, sii tu mio padre!”. E Abramo diceva, parlottando con se stesso: “Signore del cielo, è meglio che egli mi creda un mostro, piuttosto che perda la fede in te”

Quando il bambino deve essere svezzato, la madre tinge di nero il seno, perché sarebbe riprovevole che esso apparisse ancora delizioso quando il bambino non lo deve avere. Così il bambino crede che il seno è mutato, ma la madre è la medesima, e il suo sguardo è amoroso e tenero come sempre: beata colei che non ha bisogno di mezzi più terribili per svezzare il bambino.

(…) tutto l’orrore della lotta si era concentrato in un momento: E Dio tentò Abramo dicendogli: Prendi Isacco il tuo unico figlio che tu ami, va nella terra di Moira… e offrilo…” Ecco che così tutto è perduto, in un modo più orribile che se Abramo non avesse avuto il figlio. Così il Signore non faceva che prendersi gioco di Abramo: Con un miracolo aveva realizzato l’assurdo; e ora voleva vederlo annientato. Era una pazzia. (…) eppure Abramo era l’eletto di Dio ed era il Signore che disponeva la prova. Tutto ora stava per essere perduto! Il ricordo magnifico della posterità, la promessa nel seme di Abramo, tutto questo non era stato che un capriccio, un pensiero fuggevole che Iddio aveva avuto e che ora Abramo doveva cancellare…
No! Nessuno che sia stato grande nel mondo sarà dimenticato; ma ognuno è stato grande a suo modo, ed Egli amò ciascuno secondo la sua grandezza. . Poiché colui che ha amato se stesso, è divenuto grande con sé stesso. E colui che ha amato gli altri uomini è diventato grande con la sua dedizione: Ma colui che ha amato Dio è diventato più grande di tutti. Ognuno deve essere ricordato, ma ciascuno è diventato grande in rapporto alla sua attesa. Uno è diventato grande con l’attendere il possibile; un altro con l’attendere l’eterno; ma colui che attese l’impossibile divenne più grande di tutti (…). Così si è combattuto sulla terra: c’era chi ha vinto tutti con la sua forza e c’era chi ha vinto Dio con la sua impotenza: c’era chi faceva affidamento su se stesso e ottenne tutto e c’era chi, sicuro della sua forza, ha sacrificato tutto. Ma chi ha creduto in Dio, è stato il più grande di tutti. C’è stato chi era grande con la sua forza, e chi era grande con la sua sapienza, e chi era grande con la sua speranza e chi era grande con il suo amore, ma Abramo era il più grande di tutti, grande con la sua forza, la cui potenza è impotenza (1Cor 3,19), grande per la sua saggezza, il cui segreto è stoltezza; grande per la sua speranza, la cui forma è la pazzia; grande per il suo amore che è odio di se stesso.

(…) Abramo tuttavia credette e credette per questa vita. Certo, se la sua fede fosse stata soltanto per una realtà futura, allora sarebbe stato facile per lui sbarazzarsi di tutto, per affrettarsi a uscire da questo mondo al quale non apparteneva: Ma tale non era la fede di Abramo, se mai esiste una fede simile; poiché in fondo ciò non è fede, ma la possibilità più remota della fede che presentisce il suo oggetto agli estremi confini dell’orizzonte, separata però da una profondità abissale dentro la quale la disperazione fa il suo gioco. Ma Abramo credette proprio per questa vita, che sarebbe invecchiato in quella terra, onorato dal popolo, benedetto nella sua posterità, indimenticabile in Isacco, la cosa più cara della sua vita… Abramo credette e non dubitò, egli credette l’assurdo: Se Abramo avesse dubitato allora avrebbe fatto qualcosa d’altro, qualcosa di grande e di splendido…
Venerabile padre Abramo! secondo Padre dell’umano genere! Tu che per primo conoscesti quella sublime passione, la sacra pura e umile passione per la follia divina, che fosti ammirato dai pagani – perdona colui che ha voluto parlare in tua lode, anche se non l’ha fatto come conveniva… ma egli non dimenticherà mai che per te dovettero passare cent’anni prima di ottenere un figlio di vecchiaia, contro ogni aspettativa, che tu dovesti estrarre il tuo coltello prima che tu conservassi Isacco. Non dimenticherà mai che in 130 anni di vita non sei andato oltre la fede!

KIERKEGAARD SÖREN, Timore e tremore, Opere, Sansoni ed, p. 43ss

2 commenti:

'ntonia ha detto...

Grazie..
E quel ripulirsi gli occhi per vedere.... quel ripulirsi il cuore per amare .... sprofondati in questo oggi che è la nostra vita, solo per Lui, crocefisso, deriso, umiliato ...

Martita ha detto...

Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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