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venerdì 6 marzo 2009

Il figlio dell'uomo è risparmiato... Quello di Dio no

La cosa che immediatamente colpisce di queste letture che la Chiesa ci offre per la liturgia di questa seconda domenica di Quaresima, è che tutte abbiano come protagonista o co-protagonista un figlio.
Nella prima lettura questo è fin troppo evidente: anche se il personaggio principale resta Abramo, figura altrettanto fondamentale è quella di Isacco, il figlio da sacrificare. Nel vangelo è addirittura la voce dal cielo – come era stato al Battesimo – a nominare il Figlio, l’amato. Infine nella lettera ai Romani è Paolo a parlare del Figlio di Dio – per il quale proclama l’impossibilità della contrarietà di Dio all’uomo: Egli infatti è il Figlio non risparmiato.
Interessante che da sacrificare era il figlio dell’uomo, ma non risparmiato alla fine è stato il Figlio di Dio. Un Figlio non qualunque, ma ben connotato: il Figlio amato!
Questa constatazione forse permette di guardare con occhi diversi soprattutto la prima lettura: essa infatti abitualmente e istintivamente suscita un non so che di riluttante: non va bene che Dio chieda all’uomo di sacrificare un figlio; non va bene che lo chieda ad Abramo, lui che aveva solo Isacco e che aveva fatto così fatica ad averlo; non va bene che Dio sembri smentire se stesso e giocare con la vita degli uomini, chiedendo proprio il figlio della (sua) promessa; non va bene soprattutto che Abramo acconsenta…
Mia mamma – se gliel’avessero chiesto – non avrebbe mai detto di sì! A costo di dire no a Dio, a costo di andare all’inferno.
Il fatto che però alla fine il figlio dell’uomo sia risparmiato e quello di Dio no, cambia le carte in tavola. Cambia soprattutto l’accento da porre sulle fasi del racconto: Dio non è più tanto colui che chiede il sacrificio di Isacco, ma colui che lo risparmia, colui che rifiuta il sangue del figlio dell’uomo. Non a caso questo brano è anche visto da molti studiosi come il passo evolutivo del genere umano nella storia delle religioni: esso infatti è il suggello della fine dei sacrifici umani. Dio è colui che non vuole dissetarsi o placarsi col sangue dell’uomo!
Se questo è vero, però, il problema rimane. Infatti, seppure si pone l’accento sul mancato sacrificio di Isacco e non sull’assurda richiesta di Dio, se si pone cioè l’accento sul fatto che alla fine Dio risparmia Isacco, rimane ancora da chiarire il perché Dio decide di mettere alla prova Abramo in questo modo. La sua richiesta, anche se poi non perseguita fino in fondo, continua a suscitare riluttanza…
Ma qui bisogna stare attenti: anche se siamo ormai al capitolo 22 di Genesi, per cui fuori dai primi 11 capitoli costruiti come eziologie metastoriche, non si può parlare di racconti storiografici in senso moderno. Non si può cioè pensare a una ricostruzione cronologica dei fatti. Anzi, molto peso va dato all’elaborazione narrativa e al suo intento. Cioè bisogna porsi di fronte al testo, chiedendosi a quale problematica sta rispondendo, quali questioni sta affrontando, quali insegnamenti vuole dare, che aspetti della vita vuole sottolineare, ecc…
Nel nostro caso è evidente che al centro non c’è né la figura di Dio, né la figura di Isacco: la messa a fuoco è su Abramo, in particolare sulla sua fede, sulla sua risposta ad una richiesta paradossale. Chi scrive perciò non è molto preoccupato della domanda di Dio, ma della risposta di Abramo!
Mettersi nella giusta prospettiva per comprendere il testo, vuol dire allora seguire la sua intelligenza: lasciare quasi sullo sfondo la richiesta di Dio (e le reazioni riluttanti che ci vengono all’idea di un Dio così) e concentrarsi sulla risposta di Abramo. Infatti, anche chi è Dio emergerà dal comportamento di Abramo. La richiesta di Dio è dunque quasi da considerarsi una finzione letteraria, un’introduzione inevitabile, ma appunto solo per tenere in piedi quanto segue, che è il vero centro: la reazione di Abramo.
Torniamo allora al patriarca. Perché tanto ci sconvolgeva la richiesta di Dio, tanto risulta assurdo il suo acconsentirvi: perché Abramo accondiscende a questa perversa roulette russa?
Prima accennavo al fatto che mia madre (e anche mio padre ovviamente) non mi avrebbe mai sacrificato. Nessuna madre e nessun padre lo avrebbe fatto. Nemmeno io stenderei la mano per togliere la vita a qualcuno in sacrificio a Dio. Perché Abramo sì?
Noi non lo faremmo mai soprattutto per un doppio ordine di motivi: innanzitutto perché non saremmo mai davvero certi che a porci questa richiesta sia stato Dio. Immediatamente penseremmo che il Dio di Gesù Cristo non può chiedere una cosa del genere, che forse ciò che abbiamo avvertito come comando di Dio in realtà era solo un condizionamento sociale o religioso o psicologico o storico o personale… Ad ogni modo, anche se fosse davvero Dio, una tal richiesta lo rende un Dio non più degno dell’uomo, dunque un Dio di cui essere atei.
Perché Abramo tutto questo non l’ha pensato? Egli non mette mai in discussione che chi gli pone una simile richiesta sia davvero Dio. Nella narrazione infatti questo è un dato certo della storia. Non mette in discussione neanche che sia un comando lecito: non cerca spiegazioni, non tenta di contrattare, non si offe nemmeno in cambio del figlio… Non dubita cioè – nonostante la paradossalità della richiesta – che il volere di Dio sia per il bene: egli infatti prende il coltello!
Io credo che il punto di svolta stia proprio qui; cioè: cos’è che fa sì che Abramo non abbia questi nostri dubbi? O è uno stupido, uno scriteriato, un uomo incapace di senso critico, un padre snaturato… (ma Abramo non è tutto questo)… o ci deve essere un’altra risposta…
Quest’altra risposta è la chiave di lettura del brano: Abramo ha fede!
Non nel senso divulgativo trasmessoci dalla pietà popolare (per cui Abramo sarebbe colui che si fida ciecamente – che vuol dire stupidamente! – di Dio, anche se gli chiede il figlio), ma nel senso forte per cui Abramo è colui che ha un tale rapporto di intimità col Signore che innanzitutto sa riconoscerlo (sa quando è Lui e non altro) e poi sa che è uno di cui ci si può fidare, sempre, anche se – paradossalmente – ti chiede in sacrificio il figlio: tant’è che poi impedisce l’immolazione!
Per questo Abramo è detto padre nella fede: perché testimonia fino a esiti paradossali il vero volto del Padre, la sua incontestabile affidabilità, la mancanza totale e definitiva di un volta faccia contrario all’uomo. Neanche di fronte a una richiesta del genere la scelta di Abramo di fronte all’assoluto cambia: per lui Dio resta l’affidabile, il salvatore dell’uomo, colui cioè che è per la Vita dell’uomo. E infatti Isacco non muore.
Per spiegarmi meglio provo a fare riferimento ai rapporti intra-umani: è come se tra Abramo e Dio fosse nato un rapporto simile a quello che nasce tra due persone che sia amano davvero (esistenzialmente più ancora che sentimentalmente), due persone che si fidano a tal punto una dell’altra che – paradossalmente – da lui/lei si farebbero ammazzare… Abramo si fida a tal punto di Dio come quel qualcuno del cui amore per un altro ti fidi a tal punto che se ti chiedesse – paradossalmente – di ammazzarlo, lo faresti.
È solo perché si fida così di Dio che anche Gesù accetta di morire sulla croce: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). E si fida così tanto perché lui è colui che lo conosce davvero, senza ombra di dubbio (con Abramo potevamo forse avere ancora qualche remora…): «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27). Ecco perché è lui quello da ascoltare – «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» – perché rivela un Dio così, uno di cui ci si può fidare fino a esiti paradossali: non a caso è cantato come «Dio fedele», anche quando cieli e terra passeranno, quando cioè non ci sarà niente di stabile per l’uomo!
Una tale fiducia però non può essere preventiva: essa nasce dal giocarsi in un rapporto, dal determinarsi, scegliendo di entrarci, dal dare credito al Dio che ha risparmiato il figlio dell’uomo, ma non se stesso per amore dell’uomo… Solo sbilanciandosi, si entra in quella relazione, che poi diventa riconoscimento indubitabile (come per Abramo) e affidamento anche paradossale (anche quando ciò che ci verrà chiesta sarà la vita).

5 commenti:

Julio ha detto...

la fiducia... il dare credito a Dio e una sfida cuotidiana nutrita da un rapporto real e concreto con Lui,ci fa trovare speranza e coraggio pure nelle situazione contradictorie e difficile...ma tutto questo per che si faccia concreto e real bisogna che i nostri rapporti fra noi siano piu UMANE!!!! un grazie di cuore hermanos!!

Mario ha detto...

Hola Julio, muchas gracias por tu comentario... Bienvenido entre nosotros! No te arrepentirás!

Danila ha detto...

Avevo capito che Julio è di lingua spagnola, ma che Mario sapesse scriverla così bene, mi fa molto piacere! Come si fa a non amare questa dolcissima lingua neolatina, avendo come Madre e Padre, S.Teresa d'Avila e S. Juan de la Cruz? Abrazos a todo el mundo de el blog!

Martita ha detto...

Estoy de acuerdo!!

'ntonia ha detto...

Mi unisco ai saluti di benvenuto a Julio. E' proprio così RELAZIONI UMANE ed io aggiungo COINVOLGENTI.
Svuotare una parte di noi per far posto all'altro.
Non sempre è facile, non sempre ci si riesce, ma la speranza, la fiducia, IL CORAGGIO di lasciarsi andare ...... anche di sbagliare, di sprofondare
E poi ci siete tutti voi che ricaricate le pile esaurite
Grazie anche a te Chia
Buona domenica

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