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domenica 21 ottobre 2007

L'eutanasia della ragione della fede...

È un po' che volevo scrivere sul tema ma non osavo, visto però che il dado è stato tratto... eccomi qui! E siccome non è più rintracciabile in rete e per chiarezza, riporto qui l’articolo dell’Osservatore Romano (il grassetto e le lettere tra parentesi quadre sono miei):
"La Cassazione ha deciso ieri di consentire un nuovo processo innanzi alla Corte d'Appello di Milano sul distacco del sondino nasogastrico ad Eluana Englaro, una ragazza in stato vegetativo dal 1992 a seguito di un incidente stradale. Il padre della ragazza chiede infatti di interrompere l'alimentazione artificiale che tiene in vita sua figlia. Le motivazioni della sentenza della Cassazione sono essenzialmente due: il diritto all'autodeterminazione terapeutica del paziente[a], secondo la suprema corte, non incontra alcun "limite"[d] anche nel caso in cui ne consegua "il sacrificio del bene della vita"[b], poiché lo Stato italiano riconosce il pluralismo dei valori[c]. La volontà della ragazza è presumibile[e] da alcune dichiarazioni fatte dalla stessa, quando era in piena salute. In una circostanza[f] la giovane avrebbe dichiarato la sua contrarietà a "vivere una vita artificiale". La seconda motivazione è lo stato di irreversibilità della sua condizione, "secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti"[g].
Premesse che appaiono evidentemente confutabili. Nessun esperto potrebbe, allo stato attuale, dichiarare l'irreversibilità[h] della condizione di stato vegetativo, se non in base ad una scelta puramente soggettiva. Sulla volontà di Eluana, poi, l'arbitrarietà appare palese. La dichiarazione di un momento[f] non può evidentemente essere presa a parametro per presumere la volontà di una persona riguardo a scelte come quelle che riguardano la contrarietà o meno ad un trattamento che fra l'altro si pone al limite fra terapia e nutrizione[i].
Il segretario generale della Cei, il Vescovo Giuseppe Betori, pur non entrando nel merito della vicenda, ha ricordato che la "vita va difesa sempre". In ogni suo momento, si può aggiungere, poiché sulla vita stessa, e sulla sua interruzione, nessun uomo ha alcuna signoría. Nel caso specifico della sentenza della Cassazione, dunque, è inaccettabile il relativismo dei valori, soprattutto se questi riguardano la conservazione o meno della vita. Accettare, pure nel vuoto legislativo, una tale posizione, significa orientare fatalmente il legislatore verso l'eutanasia. Di più: introdurre il concetto di pluralismo dei valori significa aprire una zona vuota dai confini non più tracciabili. Significherebbe attribuire appunto ad ognuno una potestà indeterminata sulla propria esistenza dalle conseguenze facilmente immaginabili, anche solo ragionando dal punto di vista etico". (Ma.Be.)
(©L'Osservatore Romano - 18 Ottobre 2007)
Fin qui l’Osservatore. Ma è proprio corretta l’informazione che l’OR trasmette sulla sentenza della Cassazione? L’OR da’ una sua informazione che non sembra corrispondere né al testo né al suo contesto. Facciamo un confronto, mettendo ordine tra quanto riportato dall’OR e ciò che effettivamente afferma la sentenza della Cassazione:

L’Osservatore Romano:
  1. La Cassazione afferma “il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente”
  2. Anche nel caso in cui ne consegue “il sacrificio della vita”
  3. poiché lo Stato italiano riconosce il pluralismo dei valori
  4. questa autodeterminazione, “non incontra alcun “limite”
  5. la volontà della ragazza è presumibile da alcune dichiarazioni… quando era in piena salute
  6. in una circostanza la giovane avrebbe dichiarato la sua contrarietà a “vivere una vita artificiale”// la dichiarazione di un momento
  7. secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti
  8. nessun esperto potrebbe, allo stato attuale, dichiarare l’irreversibilità della condizione di stato vegetativo
  9. trattamento che fra l'altro si pone al limite fra terapia e nutrizione
La Cassazione nella Sentenza n° 21748 del 16/10/2007 dichiara:
    1. Il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente
    2. Anche nel caso in cui ne consegue “il sacrificio della vita” (§6.1)
    3. Poiché lo Stato italiano riconosce il pluralismo dei valori
    4. Questa autodeterminazione incontra un’eccezione e a due condizioni che devono sussistere entrambe: perché “ove l'uno o l'altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l'autorizzazione”
    5. Quando la volontà del paziente “sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo”
    6. E questo si deve evincere “dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti”…
    7. quando la condizione di stato vegetativo sia in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile”
    8. e questo esclude “la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno a una percezione del mondo esterno”.
    9. «non v'è dubbio che l'idratazione e l'alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario». Ma «Diversamente da quanto mostrano di ritenere i ricorrenti, al giudice non può essere richiesto di ordinare il distacco del sondino”
Solo i primi tre punti sono sostanzialmente corretti, gli altri sono praticamente inventati! All'autore dell'articolo però, sembra che siano bastati per non continuare a leggere la sentenza! Puramente arbitrario poi appare il punto h.: non si capisce in base a quale presupposto venga formulato! Capisco che siamo davanti a un articolo di giornale, anche se dell’OR, ma se pretende di avere autorevolezza, dovrebbe dare più oggettività alle proprie affermazioni. Se i Papi parlano spesso, penso giustamente, di correttezza dell’informazione, ancor più questo dovrebbe valere per i “suoi” servizi informativi. Solo all’interno di una informazione corretta ed esaustiva si può aprire rettamente il dibattito, anche etico, sull’opportunità di una tale sentenza e sul suo contenuto, ecc., ecc.: ma partendo da ciò che effettivamente è scritto e non da ciò che è temuto. Resta da fare una osservazione, e non da poco, sulla “pluralità dei valori” che l’OR sembra temere e rifiutare! La pongo sotto forma di domanda: la libertà religiosa, così solennemente ribadita dal Vaticano II e riaffermata con forza dai Papi, compreso l’attuale, non costituisce forse l’affermazione di una legittima pluralità di valori? E l’etica, non è una concretizzazione del “credo (o non-credo) religioso”? Insomma, posso credere al "mio Dio" ma non posso viverne l'espressione (tra cui la morale), che ne consegue? Questa separazione tra la fede e la vita, non è, per non dire altro... poco cattolica? (Provate ora a pensare alla nosta posizione con l'islam e vedrete come lo schema si ripete...)
Stiamo attenti al fatto che, nell’intento polemico di contestare certe affermazioni, rischiamo di contraddire non solo la storia (e non solo recente!), della Chiesa, ma di sposare in qualche modo la posizione di stampo lefreviano che proprio a questa pluralità di valori si oppone e che quindi senza accorgersene ha una visione protestante, perché disincarnata, del cristianesimo. Il pericolo, non tanto ipotetico, è ricalcare i tempi bui della “guerra di religione”, magari sotto la nuova forma di una “guerra sull’etica”: e così per non “ammazzare” un malato terminale, si “ammazzeranno” i sani! Il che sarebbe uno strano modo di voler "evangelizzare le genti"[*].
Il problema è serio e non di facile soluzione (né applicabile forse, in ogni situazione e a tutti), ma deve essere affrontato con quella serietà che il dramma delle persone in gioco ci domandano. Ci sarà bisogno, leggendo attentamente la sentenza, di ben altro che un articoletto, foss’anche dell’OR, per contestare quello che sembra una posizione altamente meditata e qualificata, fondata persino su valori e impostazioni che sono capisaldi filosofici e teologici della dottrina cattolica sul rispetto e sulla dignità della persona umana: altro che "vuoto di valori"! A meno che, non si prendano per "valori vuoti" anche quelli cristiani! Un esempio? Se non avete tempo di leggervi tutta la sentenza, almeno meditatene questo frammento:

Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.
Ciò è conforme al principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé, vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente, concepisce l’intervento solidaristico e sociale in funzione della persona e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del «rispetto della persona umana» in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive.
Ed è altresì coerente con la nuova dimensione che ha assunto la salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza.
Deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita.
Benché sia stato talora prospettato un obbligo per l’individuo di attivarsi a vantaggio della propria salute o un divieto di rifiutare trattamenti o di omettere comportamenti ritenuti vantaggiosi o addirittura necessari per il mantenimento o il ristabilimento di essa, il Collegio ritiene che la salute dell’individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c’è spazio – nel quadro
dell’“alleanza terapeutica” che tiene uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno – per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.

Mi sembrano affermazioni sufficienti a far sbiancare ogni nostra presunta, arrogante, dogmaticistica, certezza!
__________________________
[*] A questo proposito, si veda come noi cristiani ci comportiamo con le altre religioni che convivono in Occidente, e capiremmo come questa mentalità protestante stia dilagando nel sentire comune della società occidentale: "Che preghino nei loro templi e moschee, e sinagoghe, ma tra di noi, nella nostra società dalle salde radici cristiane, devono comportarsi secondo i parametri nella nostra fede!". Mi sembra che questa posizione, non sia semplicemente un problema "politico" ma esso contraddica, separando fede e vita, il fondamento stesso della fede cristiana a cominciare dall'Evento dell'Incarnazione, che fa della Storia il dirsi della Fede. Occorre inaugurare un ecumenismo autentico che coinvolga tutti gli ambiti della fede-vita e non solo i suoi aspetti dottrinali. Un cantiere che nessun soggetto sociale sembra, allo stato attuale delle cose, neanche lontanamente immaginarsi di dover affrontare!

4 commenti:

Bruno Giaccone ha detto...

vorrei capire il significato delle seguenti parole lette nel testo:"una visione protestante, perché disincarnata, del cristianesimo".
Grazie per l'attenzione
Bruno Giaccone

mario ha detto...

Caro Bruno, bella domanda, che però richiederebbe uno studio a parte... Qui io posso solo dire che in parte rispondo quando affermo che "Mi sembra che questa posizione [mentalità protestante] ... contraddica, separando fede e vita, il fondamento stesso della fede cristiana a cominciare dall'Evento dell'Incarnazione".
Premetto che io non intendo qui parlare dell'uomo concreto ma della "forma mentis" al di là delle buone intenzioni di ciascuno... Sappiamo che nella vita concreta le cose sono ben diverse per fortuna... e anzi le posizioni possono invertirsi come nel caso in specie (i protestanti sembrano avere di fatto posizioni più "cattoliche" di certi benpensanti cattolici!).
Quello che intendo dire va inteso solo nel senso di "scuola di pensiero" e va visto solo in chiave filosofico-teologica, e cioè...
Fondamentalmente la prospettiva protestante, tende a escudere che l'Incarnazione incontri "veramente" l'uomo, tutto, in ogni suo aspetto. In Cristo Dio è solo "tangente" all'uomo senza veramente "toccarlo"... L'uomo resta radicalmente peccatore... In questa prospettiva, ne consegue che una cosa è la fede e un'altra son le opere (della vita): sono due cose completamente diverse e la "vita" non è la "manifestazione" della fede... La fede resta quindi "confinata" nell'ambito della coscienza personale dell'individuo e può sussistere anche se questa non viene estrinsecata nel sociale... Da qui una libertà religiosa limitata al "privato"... o nel chiuso di una "sacrestia", sinagoga o moschea o tempio o chiesa che sia...
La posizione cattolica invece dice che in Cristo l'uomo è veramente incontrato da Dio e radicalmente "sanato-salvato" e quindi anche il suo agire è "espressione" della fede: non c'è fede senza la vita (con il suo operare)... e quindi se ne deve dedurre che la libertà religiosa è veramente tale se se ne rende possibile anche la manifestazione "pubblica" (l'incarnarsi nella storia sociale-politica-economica, ecc.) "qui ed ora" di questa fede di quest'uomo. Ora proprio il riconoscere ed esigere!, da parte anche cattolica, questa libertà per sé e per gli altri, "domanda" la necessità di un "nuovo" patto sociale (e quindi politico-giuridico) tra le pluralità delle confessioni (e quidi di valori: e io vi includo anche i non credenti in Dio, ma "credenti" nella "ragione" filosofica). L'alternativa è proprio cadere in una forma di integralismo cattolico che guarda caso cade nell'errore che il pensiero cattolico rimprovera al pensiero protestante.
PS.: Un esempio di questa "tendenza" del pensiero protestante la trovi nel blog alla voce "Bonhoeffer": la lettera mostra quella "tendenza" tutta protestante di separare la santità (del vissuto) dal credere... perché allora la pubblichiamo? perché può aiutare il pensiero "cattolico" che tende, soprattutto a livello "popolare" à far "coincidere" la "sua" idea di santità con qualcosa di "estraneo" alla fede in Gesù Cristo e nel suo Vangelo! Occorre oggi sottolineare con forza il primato della fede (e su questo hanno ragione i protestanti) e che le opere devono scaturire da essa (e su questo hanno ragione i cattolici)... Forse se unissimo i nostri "difetti" saremmo entrambi più vicini al Vangelo!
Cordialmente...

Bruno Giaccone ha detto...

Caro Mario, sono d'accordo con te che bisogna riconoscere i nostri difetti.
Ho l'impressione che uno di questi difetti sia quel lo di conoscerci poco, "leggerci" quasi mai l'un l'altro, per questo ti invio alcune parole scritte dal teologo Paolo Ricca sul settimanale "Riforma" della settimana scorsa:

"Sola fide significa che solo la fede salva, e non anche le opere, che sono ovviamente fondamentali, sono, per così dire, il corpo della fede, senza di loro la fede è come morta, esse però non salvano. Sola gratia significa che solo la grazia ci rende graditi a Dio, e non il merito. L’amore di Dio non ha bisogno di essere meritato, perché è donato, offerto gratuitamente a tutti senza condizioni. La risposta giusta alla grazia non è la ricerca del merito, ma la vita nella gratitudine (nulla è così raro sulla terra quanto la gratitudine)".
Un caro saluto
Bruno

mario ha detto...

No, non parlavo di semplicemente di "riconoscere i nostri difetti", questo e ovvio ed è il minimo che si possa fare... parlo proprio "di unirli". E cioè, io faccio mio un po' del modo di pensare che ti rimprovero e tu fai tue un po' delle idee che mi rinfacci: ci troveremmo entrambi più vicini al Vero...

Detto questo vengo alla tua citazione.
Detta così nessun cattolico, credimi, si sentirebbe di non condividere l'affermazione di Paolo Riva...
E per quel che ne so io, non mi risulta che al cattolicesimo queste affermazioni abbiano mai costituito per se stesse un problema... il problema nasce semmai quando si prova a spingere la "ragione teologica" alla ricerca di "senso" di tali affermazioni facendole uscire dalla sua formulazione apodittica, e cioè:
Perché le opere sono fondamentali se solo la fede basta?
Perché senza le opere la fede è morta?
Morta! non semplicemente addormentata! morta! cadavere in putrefazione, priva di vita: peggio che se non esistesse!

Ecco lo sforzo della teologia cattolica sta proprio nel tentare di dare risposta esaustiva a tali domande... Ed è qui che cominciamo veramente a distinguerci...

Bisognerebbe allora riprendere in mano i Vangeli e cercare di capire che cosa Gesù e gli Apostoli intendono veramente quando parlano di "fede"... e forse capiremmo perché una parte del pensiero cristiano, col tempo, nella distanza culturale (e quindi anche linguistica), a partire da un certo momento storico, ne ha fatto una "riduzione" ora intellettualistica, ora spiritualistica ora intimistica ora fideistica... in ogni caso "disincarnata" e "a-storica"... Come rivela chiaramente la stessa analogia del corpo e dell'anima utilizzata da Riva per parlare di fede e opere... Analogia estranea alla cultura biblica e invece mediata da una certa filosofia greca e a cui parte della teologia, protestante e cattolica, è stata (è?!) purtroppo debitrice... Non posso che rinviarti allo studio di un buon dizionario di teologia biblica (protestante o cattolico che sia) alla voce anima e corpo...

Per fortuna poi la storia si prende le sue rivincite... E allora vediamo come, per tornare a Bonhoeffer, proprio nel momento in cui si consegna liberamente ai suoi aguzzini, manifesta e "incarna" storicamente il proprio "credere" e il suo morire unisce in un intreccio indissolubile fede e opera: proprio come dovrebbe fare un... "buon cattolico"! Ed è per questo che può essere di "esempio" per noi tutti.
Cordialmente

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