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venerdì 12 ottobre 2007

La Fede matura – La Gioia della riconoscenza

Il sussulto di riconoscenza : il guarito – uno straniero – è tornato …
Gli stranieri evangelici ci annunciano che alle frontiere estreme della diversità, della malattia e dell’impotenza umana esiste solo l’uomo. Essere stranieri è una condizione culturale di “alterazione” per troppa diversità, di persone o gruppi, estraniati dall’umanità ‘normale’, tanto più se lebbrosi. Ma ogni diverso è una provocazione contagiosa… Il dramma più grave della storia dell’umanità è sempre questo: l’uomo incontra se stesso e non si riconosce. E così deturpa la propria umanità, ogni volta che rifiuta il volto dell’altro, nell’oppressione, nell’omicidio, nella guerra. Su questa frontiera invalicabile dell’ “altro” si gioca o si inceppa la dinamica di adempimento dell’alveo vitale di ogni uomo: tessuto di relazioni che rigenera e risana – o smagliatura senza rimedio, sfilacciamento di rapporti che svuota e consuma la persona.
Nel quotidiano il discorso è più duro. Ogni uomo, se respira, cerca, si dispera, lavora… si muove comunque - per una specie di statuto intimo che lo costituisce - verso un compimento! Che fa estrema fatica a individuare e riconoscere. Il discepolo ne ha imparato la direzione, l’orientamento, sia pure per simboli, e questa è la sua prerogativa di “credente”: sa che in Gesù è stato assunto e si è convalidato il senso di ogni dinamica umana, di ogni movimento – speranza o disperazione – dell’uomo verso il suo compimento. Nel cuore del Vangelo sta l’annuncio che solo lui ha sperimentato la conoscenza del Padre, è può insegnare ai suoi fratelli a ri/conoscerlo in ogni percorso umano, pur segnato e coartato da tante differenze e contrasti e cadute… Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da impregnarlo tutto della sua benevolenza, ma l’uomo riesce ad aprire il cuore alla salvezza… soltanto quando un volto ne rivela finalmente la presenza, fosse anche una meteora nella notte.

La parola di Dio non è incatenata
Non è stata un’irruzione improvvisa nella storia… Nell’intimo della materia, nella polvere di stelle da cui siamo nati, abita misteriosamente la forza creatrice della Parola che l’ha fatta, l’ha condotta con la sua forza tacita e tenace a superare le soglie dure della concentrazione inerte, fino alla coordinazione universale della fisica, all’emergere inspiegabile della vita biologica, all’intreccio emozionale sempre più complesso della psiche… come un fermento, una pulsione incontenibile, tra attesa e compimento. Ma la Parola di Dio non è incatenata. Non si tratta di qualche ostacolo nel cammino, ma di crescere e dilatarsi entro un sistema colmo di attese, ma sostanzialmente bloccato, duro e refrattario. Ci accorgiamo proprio per questo che non è parola umana. Naaman prima dubita che la Parola sia troppo banale, ma poi si affida, si tuffa nel fiume, come in un battesimo che gli rigenera la pelle come quella di un giovinetto. Infine scoppia di gratitudine e va cercando il volto del Guaritore, rischiando di confonderlo con quella del suo testimone. Che però lo orienta non verso sé, ma vero il Padre, generatore vero di ogni vita. Ma Naaman ha capito che quel posto, quella terra ha contenuto la sua salvezza, e se ne porta via qualche zolla, come viatico, per il suo cammino e per la sua casa, come un’eucaristia profetica che accoglie e trasmette la sua esperienza di liberazione dalla morte. E’ nella terra, nella fragilità della carne che sarà seminata la salvezza. Questo è il germe della grande notizia da non dimenticare mai, dice Paolo: che Gesù Cristo, un pezzo della nostra terra divenuta carne, è risuscitato dai morti. E’ arrivato al compimento finale di tutto l’anelito della creazione!

Anche l’uomo più lontano… Dio gli è vicino!
Ci avviamo alla tappa finale del viaggio verso Gerusalemme: Gesù ha spiegato che solo l’esperienza della misericordia può far intuire l’essenza intima di Dio (il figliol prodigo), ha indicato quali amicizie vere procacciarsi con i beni del mondo finché ci è possibile (l’amministratore accorto), ha squalificato la religione come strada adeguata a riscoprire il Padre, indicando piuttosto la sollecitudine per il povero (il ricco epulone), ha finalmente dichiarato che il cammino impervio del discepolo è imparare il difficile mestiere di servo inutile… Adesso mostra come avviene il miracolo del sussulto del cuore, che fa scattare la scintilla della fede piena, quella che non solo rimedia qualche problema dell’uomo, ma lo “salva”!

La fede è un cammino
Il primo passo della fede a cui Gesù conduce il discepolo è l’umile riconoscimento dell’inguaribile malattia umana dell’esser fatti di terra, fragile, friabile, piena di germi patogeni e già minata nella sua struttura interiore, degradante verso la consunzione. Questa consapevolezza apre il cuore ad un volto misericordioso di Dio e nasce l’anelito: Gesù Maestro, abbi pietà di noi! Ancor più commovente se proviene da tutti “insieme” – il dolore copre ogni discriminazione… Questa disposizione “commuove” sempre il Signore.
Il secondo momento importante, caratteristico della fede, è di credere prima di sperimentare. Disporsi alla guarigione, cioè mettersi in viaggio, prima di vederne gli effetti. Perché questo vuol dire “fidarsi” della promessa, affidarsi alla Parola di chi ti indica la salvezza in un rapporto libero, non di magia, o di causalità strumentale. La Parola è invito alla “responsabilità” personale, non per costringere, ma per far crescere la libertà. Dio almeno la usa solo così. Si rivolge all’uomo e lo guarisce proprio per far crescere gli spazi e le possibilità della libertà.
Il terzo passo - il più difficile - è quello che nasce dopo… lungo il cammino… : è sempre una “riscoperta”, un sussulto interiore che, quando già il bisogno è già stato esaudito, fa sgorgare in cuore ,a fame dell’Altro del desiderio, oltre il desiderio… sta nascendo la fede che matura! Quella che ricerca, che vuol ri/conoscere il volto che ti ha guarito e iniziare per lui un canto vitale di lode e adorazione (la consegna di sé per amore). La fede allora è dono, gioia, riconoscenza per essere stati amati.

E gli altri nove? Ma dove sono andati?!
… persi! : nei meandri degli uffici di anagrafe e di controlli sanitari, cultuali, ascetici, sacrificali, perché è tutto ciò di cui i preti e gli esperti di ogni cultura e di ogni religione sono competenti – se va bene. Tutti espedienti che fanno l’uomo semiconvertito, per un momento ha creduto, è risanato nella pelle, quindi riabilitato socialmente e personalmente… Ma non scardinato e coinvolto profondamente nel cuore. Allora, quando le pulsioni vitali gli premono dentro, quando le erbacce soffocanti o la zizzania, di cui dice Gesù dei campi in cui ha seminato la Parola…rispuntano, ecco che quasi tutti i discepoli (novanta % !) si perdono nei labirinti senza uscita della paura di rischiare la propria vita, e nei relativi riti propiziatori, o nelle mediazioni morali che annacquano il Vangelo, per rimandare o mascherare il sostanziale rifiuto di morire per il Maestro, come lui!

La gratitudine : dalla pelle al volto
Solo uno dei dieci lebbrosi, infatti, non soltanto è guarito, ma è anche salvato. Costui forse non arriva neanche al tempio, ma ritorna indietro sui suoi passi di miracolato, per lodare Iddio e rivedere la faccia di chi l’ha salvato. Perché è adesso che ha bisogno di lui! Questo è il vero miracolo! la guarigione è la preparazione occasionale. Il Maestro accoglie la fiducia di questo lebbroso samaritano, doppiamente emarginato. Escluso dalla vita sociale e religiosa del popolo eletto, per le sue origini e per la sua malattia, è destinato a morire di consunzione fisica e relazionale… La guarigione dall’emarginazione lo rimette nel circuito famigliare e culturale. Adesso è messo in grado di ridiventare un’ape operaia del cantiere antropologico, come tutti gli altri, non più inutile o dannoso al consorzio civile e religioso. Fisicamente, moralmente, religiosamente a posto. Ma basta questo per fare un uomo?

Ri/conoscere è rinascere
Come in un bambino, perché scatti la scintilla della coscienza di sé, della memoria autobiografica, ad un certo punto non bastano più le carezze rassicuranti sulla pelle. Ci vuole un volto cui affidarsi per entrare in dialettica con “lui”, è scoprire un “tu”, che faccia nascere e individuare i contorni dell’io… Così per diventare “credenti”, discepoli di Gesù, ci vuole la ri/scoperta di un volto… che ti ha salvato e ti rigenera. Perché in quel volto amico si ridisegna la propria identità e il senso della propria vita. È la riconoscenza! il balsamo che lenisce le malattie del cuore, apre un’uscita di luce dai propri abissi, fa compagnia alla solitudine angosciosa delle crisi di panico, disinquina i complessi di colpa… E la ri/conoscenza (gratitudine) che scoppia dalla gioia di aver scoperto l’affetto che ti ha guarito – perché? gratis, per niente, per amore, … Solo così si entra nel circolo virtuoso di comunione.
Guarire non è semplicemente il grande dono di recuperare l’integrità fisica o morale, ma l’occasione per scoprire il medico, diventare amici del “guaritore”. Del resto l’uomo è ammalato di un male che non guarisce, di cui la malattia è solo un sintomo e il simbolo: la fame di amore. Il guarito si ammalerà ancora, bisogna farsi amico del medico, che ormai cammina con te verso Gerusalemme e così sei al sicuro per sempre. Il segreto della fede è la scoperta della differenza tra la vita della psiche, che gira attorno a sé, e non supera il livello antropologico ‑ e quella dello spirito - nel viaggio duro e affascinante della vita, accompagnati da chi lo ha già fatto per aprirci la strada… (p G.B.)

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